diario di un'italiana in ghana

Accra e Kumasi, il caotico caos globale

Se un  gigante arrivasse ad Accra avrebbe la stessa impressione che abbiamo quando guardiamo a una colonia di formiche. Rapide rapide, strette strette, connesse le une alle altre, ma nello stesso tempo ognuna concentrata solo sul proprio scopo, sui propri affari.

Ci si stringe ma non si collide; ci si sfiora ma si previene il contatto; ci si urta anche, frequentemente, ma a parte ogni tanto qualche sguardo rovescio e tentativi di avviare un breve litigio, nessuno ha il tempo di fermarsi per lamentarsi o chiedere scusa.

Poi, però, ogni tanto ci scappa che la folla si addensi ancora più che la già insopportabile calca. Allora lo scontro avviene, e collassano oggetti e viveri portati sulla testa – di qualunque peso, di qualunque dimensione. Collassano le persone, stanche e sfatte. Collassano le parole che possono diventare furia o richiesta di scuse. E collassano pensieri quotidiani e prosaici, che non sanno di gioia.

Non mi piace andare ad Accra, lo evito se posso. Non è la peggiore capitale africana (non molte) che ho visitato. Ha una sua “disciplina”, certe comodità , ad esempio ci trovi di tutto, è una delle capitali più “internazionali” del continente. Il centro “politico” e storico ha l’attrattiva legata alle architetture celebrative del post colonialismo e di matrice socialista.

Ma è una città che stanca, fa sentire fragili, preda di meccanismi su cui non si ha alcun controllo: la crescita sfrenata (si continuano ad aprire mall e a costruire moderni e alti edifici) mentre la gente nei villaggi ha fame; una burocrazia in bilico nel passato con modi corruttibili e tali da creare più problemi che risolverne; e le tracce di tutto il male del nostro consumismo: miliardi di pezze vecchie nei mercati, una enorme discarica di e-waste, merce cinese pronta da gettare via una settimana dopo l’acquisto, merce europea – soprattutto frigo, freezer, vecchi computer con grossi monitor – arrivata qui chissà come pronta a un riciclo improbabile… Odio tutto questo.

Anche se Accra, naturalmente, non è solo questo. E non è solo Accra. Kumasi, capitale dell’Ashanti Region in quando a business, ricicli, consumi (pubblicizzati sulle strade a ridosso degli shop, consumi posseduti o solo sognati) è anche peggio. Comprare comprare, vendere vendere. E quel grido ripetitivo che ti insegue quando ti trovi nei mercati: a go, a go. Che starebbe per: permesso, scusi mi fa passare? una richiesta stressante e spesso urlata: da donne, bambini, uomini adulti (ma soprattutto donne) con i loro pesi in bilico sulla testa.

Un formicaio. Ma osservare dall’alto il formicaio è una cosa, viverci dentro è completamente differente.

Città colme di Storia e storie affascinanti, ma così infernali ai miei occhi. Schizofreniche. Ieri a Accra son dovuta tornarci: nel caso chi legge queste righe avesse letto un post precedente sull’odissea del fornelletto da campo… ebbene, ho dovuto fare di nuovo 8 ore di viaggio andata e ritorno per cambiarlo. Quando gli ho fatto notare l’assurdità di tutto questo (comprare un fornello che prende fuoco – nel senso che perde gas – rischiare la vita e tornare indietro per riportarglielo) mi hanno dato due tappini di plastica come “regalo” nel caso riscontrassi nuove perdite di gas.

Insomma, facevano prima ad augurarmi: good luck!

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