diario di un'italiana in ghana

Temporanea è ogni cosa che mi circonda

Temporary. Temporaneo, momentaneo, passeggero. Impermanente.

Temporary è la parola che sento ripetere più spesso. Yaw la pronuncia spesso. A proposito del cibo, a proposito della costruzione di una capanna, a proposito del sistemare un pantalone che ha perso i bottoni… a proposito di tutto.

Temporary non è una parola. Piuttosto è un marchio, una firma che sottoscrive le scelte che si fanno. Per sempre? Impossibile. La scelta è per ora, per questo momento, forse per qualche settimana, magari… per sempre. L’attesa di qualcosa che duri un po’ di più. Una speranza.

È in questa incertezza così resistente che faccio i miei esercizi quotidiani per allenare la mente a vedere la realtà per quella che è: tutt’altro che certa. Impermanente.

Temporary sono i costi degli oggetti come del cibo. Perché quello che costa 1 può costare anche 5 altrove e quello che oggi trovi, domani non c’è più.

Temporary sono anche le parole (dovrebbero essere regole valide sempre e per tutti) degli impiegati all’Ufficio immigrazione. Un giorno ti dicono: servono questi documenti, faccia così, faccia colì… Ma se vai nello stesso ufficio in un’altra città o dopo qualche giorno torni nello stesso ufficio dove sei già stata, scopri che qualcosa è cambiato: ti serve un altro documento o devi fare in qualche altro modo…  Non mi avevate detto che… Ma lamentarsi è inutile. Qui si sopravvive meglio se si tenta di aggirare l’ostacolo. Perché anche quello è temporaneo, a che serve combatterlo?

Temporary sono le tue ricchezze (?). Quando apri un conto in banca tutto ti immagineresti di leggere nelle clausole che vanno sotto il nome di “Force Majeure” tranne che tra gli eventi che la Banca ritiene “al di là di ogni ragionevole controllo”, oltre a sabotaggio, inondazioni, rivolte, guerre, siano anche menzionati “Acts of God”… E su quel punto, da queste parti, non c’è obiezione che tenga.

Ti resta da sorridere quando – sempre nell’atto di aprire il conto – nel documento da compilare ti chiedono di indicare il nome non di tuo padre ma di tua madre.

Dopotutto è rassicurante che, in tutta questa incertezza, almeno Mater semper certa est.

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