diario di un'italiana in ghana

I bagni dell’Ambasciata italiana

Sarà che ci sono arrivata dopo due mesi di stress da burocrazia ghanese (senza contare i periodi precedenti); sarà che a certe cose mi sto per forza di cose disabituando (ed ad altre per forza abituando); e sarà perché certi feeling ce li portiamo dietro (e dentro) immutabili e testardi, ma ieri la mia visita all’Ambasciata italiana è stato uno dei momenti più rilassanti e piacevoli da quando sono qui.

La fila fuori è breve ma è bello comunque poter dire “sono italiana, devo mettermi in fila anch’io?.No passi da quella porta”. Busso, lo sportellino si apre e qualcuno mi chiede: “italiana?”. Bello dire sì. Allora, il portone si spalanca. Per me, che bello!

Sono ghanesi i dipendenti al controllo passaporto, che controllano il contenuto della mia borsa, mi fanno lasciare il telefonino in una cassetta di sicurezza e poi passare attraverso la porticina del controllo elettronico… e pensare che all’Ufficio immigrazione di Accra ho l’impressione che si potrebbe entrare con una bomba a mano…

Piccoli gesti competenti, domande ben poste, gentilezza… caspita – mi dispiace dirlo – ma quasi mi ci stavo disabituando. Ok, non voglio – e non posso sinceramente dire – che all’Ufficio immigrazione di Accra siano tutti burberi e unfriendly, però ne ho incontrati parecchi così. Capaci di farti sentire un ospite indesiderato. Capaci di farti sentire stupido con modi quasi sprezzanti, mentre tu cerchi di comprendere perché sembrano non esistere regole che valgono oggi e possibilmente anche domani.

Insomma sentire di essere a casa nella tua Ambasciata era un sentimento che mi mancava. Attendo in un salottino con poltroncine comode, qualche testo legislativo, una foto (piccola) del presidente Napolitano, solo tre persone in attesa. Ne approfitto e vado in bagno e lì… la mia gioia esplode. Posso chiudere la porta a mandata vera con una chiave reale, posso usare la carta igienica e tirare lo scarico, posso lavarmi le mani con sapone, posso persino asciugarmele con le salviettine e gettarle in un cestino… Non posso resistere, chiamo Yaw e gli dico: “ecco come sono i nostri bagni, ecco, guarda…”.

Quando esco l’assistente della funzionaria è lì che mi sta aspettando. Mi aspetta! È già lì, ed io che mi ero già preparata ad aspettare le mezze ore, le ore intere. Faccio domande, come mio solito, anche perché parla italiano perfettamente ma sento che non è italiana. O meglio, la madre è italiana, il padre libico. E poi si dice che l’Italia non è una realtà mista di fatto. La funzionaria, che viene a spiegarmi che è obbligatorio che mi iscriva all’Aire, è ferrea ma cordiale, vorrei quasi trattenermi, ma è chiaro che lei non prova quello che provo io. Dopotutto, in un certo modo, lei è sempre a casa.

All’Ambasciata italiana si fanno anche incontri di tutti i tipi: dall’italiano furbetto che è in Ghana per sondare e “sfondare” nel mercato dell’oro, al ghanese con cittadinanza italiana (ha vissuto 26 anni a Reggio Emilia, sposato con un’italiana, 4 figli in Italia) che torna in Ghana. Ci ho messo un po’ a capire che quando diceva “da noi è così, da noi è colì…” parlava dell’Italia. E quando gli chiedo: “che lavoro facevi in Italia?” risponde “il sindacalista”. Ci voleva un italo/ghanese per ammettere che quello del sindacalista è un lavoro!

In una mezz’oretta risolvo tutto. Mi godo per pochi secondi la vista dei giardinetti e delle aiuole e la bella figura di un funzionario di mezza età, ma l’immagine che rimane negli occhi è quella di un carabiniere calvo che cerca di tenere in ordine la fila e le domande.

Mi fa venir voglia di gridare VIVA L’ITALIA!

italian flag

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