Quand’ero piccola e poi da adolescente per motivi vari stavo spesso sola. O forse è una mia impressione o forse non vivevo bene quel terrore per le amicizie di mia madre. Però non stavo male – i miei incontri e momenti di socializzazione li “rubavo” e li vivevo con grande pienezza. E poi – comunque – mi piaceva stare sola. Soffrivo il condizionamento e l’obbligo di restare a casa, ma non soffrivo la solitudine in sé. Quella l’amavo e dicevo spesso – a me stessa e agli altri – io da sola non mi annoio mai. Ed era vero. Scrivevo, leggevo, studiavo e, naturalmente sognavo.
Poi, all’improvviso, mi sono buttata nel mondo. Ero libera, potevo fare le mie scelte, potevo fregarmene di mia madre (in realtà l’avevo sempre fatto). E mi sono divertita e… ho fatto cose e visto gente. Costantemente, per un sacco di tempo. Ma poi ancora, dopo tanti anni, qualcosa in me è cambiato. E così è cambiato fuori. (O è l’opposto?)
E sono ritornata alla mia antica passione: la solitudine. Prima quella degli Appennini, poi quella ghanese. Ma questa solitudine adulta è molto, molto più profonda, molto più consapevole.
Una persona – che neanche ho mai visto ma che spesso ha rotto la mia solitudine ghanese – mi ha segnalato un intervento su Ted di Susan Cain “The power of introverts”. Grazie Tina!
Parole che mi hanno confermato tante cose: soprattutto che la solitudine ha un valore immenso. Parole che non sono affatto nuove per me. Alla fine del suo intervento Susan Cain consiglia di fare tre cose e io le ho già fatte tutte (e ci sono sempre dentro).
- cercare la propria privacy e libertà
- andare in un posto selvaggio, isolato e, come Buddha, trovare la propria rivelazione
- guardare – e possibilmente usare – alle cose importanti che possediamo: conoscenze, talenti, desideri
La solitudine, la riflessione, lasciarsi pensare … sono ingrendienti cruciali alla creatività. Ma sono anche ingredienti cruciali che ci impediscono di perderci, di dimenticarci. Sono ingredienti, per quanto mi riguarda, che ci fanno restare umani. Faccio fatica a guardare la tv, faccio fatica a leggere facebook per molto tempo, faccio fatica anche a scrivere un articolo in questi giorni.
Troppe parole non lasciano nessun messaggio, nessun segno. Troppe immagini di morte, terrore, distruzione confondono la mia umanità e anche se non sono io a uccidere e a provocare danni irreparabili a persone innocenti sento che più parlo, più tolgo valore e tragedia a quello che accade. Non dico che bisogna tacere, voltare la testa dall’altra parte. Senza l’attivismo di questi giorni Gaza e la sua gente sarebbero ancora più terribilmente isolati. Come quei magnifici leoni che mettiamo in gabbia perché noi esseri umani siamo i più forti e possiamo fare quello che cavolo vogliamo. Dico solo che io – spesso – nelle parole mi sento vuota. Ma non mi sento vuota nel mio pensiero, nelle mie capacità, nel mio cuore. E devo continuare a gestire quelli prima di tutto.
No, non sono una misantropa. Sono molto felice di stare con la gente. Anzi no, non sono felice di stare con la gente. Sono felice solo di stare con gli amici. Ho la prova comunque che l’intelligenza e il pensiero critico non nascono dalla massa, dai contatti ad alti livelli, da relazioni che contano, da studi universitari e da un lavoro “di successo”.
Yaw è ghanese, non ha mai viaggiato, è solitario più di me e quando l’ho conosciuto mi sono domandata: come fa a vivere solo per giorni e giorni su questa spiaggia senza impazzire? Non solo non è impazzito, ma la sua “introversione” e l sua solitudine non lo hanno reso inferiore a nessun altro. No, direi che lo hanno reso migliore.
È la persona più sorridente, più socievole, più ottimista che io abbia mai conosciuto. E conosce il mondo e l’animo umano al pari – o meglio – di coloro che fanno conferenze su Ted. E allora? Merito della solitudine, un focus costante sull’essenziale e sull’universo intero.
Ho tanti amici che mi hanno sempre ripetuto – e anche i nuovi amici acquisiti negli ultimi anni lo dicono – che sono una persona solare. Lo so, ne sono certa, ma solanto io so che il mio abisso è profondo. Più di quanto si possa immaginare.
Sul frigo di una cucina di una casa che una volta era anche mia e ora è il mio ostello temporaneo, c’è un magnete con una frese di Pier Paolo Pasolini: La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza. A me si addice così: La mia solitudine, che è la mia forza, genera la mia indipendenza. Nel cuore, nella mente e nello spirito.
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