Sì lo so, tutti sapete che in Africa ci sono solo due stagioni: quella secca e quella delle piogge.
Non è così Ora in Ghana è inverno. Comincia proprio all’inizio dell’anno, già dalla prima settimana e va avanti tutto gennaio, più o meno.
La temperatura scende, tra i 19 e i 25 gradi e… fa fresco. Il fatto è che il corpo si abitua al caldo costante e intenso e 20, 23 gradi – soprattutto di notte e al mattino – fanno salire il tremore. I plaid rossi della Tap sono finalmente utili. Anzi non se ne può fare a meno, quando cominci a sentire i polpacci doloranti (reumatismi?).
Al mattino è silenzio, le donne provano a difendersi con le stoffe colorate – almeno prima dei tanti e tanti lavaggi – avvolte a casaccio intorno al corpo.
Anche il giorno è silenzio. Il vento che soffia. La sabbia portata dai soffi, che si posa ovunque. Il sole opaco, triste, solitario. È l’Harmattan. Non so pensare com’è più al Nord, e dentro al deserto…
E quei veli colorati che avvolgono tutto mentre si fa sera. Non è arancio, non è rosa, non è giallo. Impossibile da raccontare.
L’acqua del pozzo è gelata.
C’è un’indolenza che preme, offusca le necessità e la voglia di fare. C’è uno statico senso d’attesa. Uno sconcerto che non sai spiegare. E poi, perché si parla più piano? O, perché si tace?
Quest’inverno, quest’inverno surreale, è anche più potente della stagione delle piogge. Una stagione che, qui in Africa, fa sempre un po’ paura. Quest’inverno lo vivi e senti sulla pelle soprattutto nei villaggi. Abbandonati e sconosciuti. Quest’inverno – quando i pomodori scarseggiano e vengono venduti al doppio – è una bolla irreale. Destinata a raccogliere pensieri, propositi, speranze, attese…
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