Miliardi, miliardi di miliardi. Abbiamo attraversato questo pianeta, ne abbiamo fatto ogni cosa, ne abbiamo sofferto ogni male e accarezzato ogni bene.
Quanti di noi sono rimasti? Aggrappati alle pareti di un museo, tra le volte di una Cappella, tra note e Sinfonie che neanche i periodi più assurdi delle Storie riescono a cancellare. Oppure in libri di Storia che nessuno avrebbe desiderato documentare.
E gli altri? Tutti i miliardi di miliardi di altri? In quale universo silenzioso sono finiti? In quali vite, giuste o sbagliate. In quali piccoli clamori personali o effimere notorietà.
È una vita più preziosa di un’altra? Oppure ogni singola, anonima vita è preziosa al pari delle altre? O vite inutili continuano ad attraversare il pianeta? Senza senso, senza rivali, competizione. Senza importanza.
Come è difficile tenersi integri pensando “questo è inutile”, come è difficile conservarsi integri pensando “che importa”. Ma quanto è più difficile restare integri in un universo che ricicla tutto: ricicla la tua vita già riciclata. La pulisce – qualche volta – molte altre, la sporca.
Continuo a fare parte di un’evoluzione. Qualche volta in avanti, qualche volta scivolando indietro. Non me ne dispiaccio. Dopotutto l’ho voluto.
Però anche questo voglio: voglio perdermi nell’universo, ma voglio che l’universo non si dimentichi di me.
È possibile? Credo di sì.
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« Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va. » E’ il “panta rei” di Eraclito
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