diario di un'italiana in ghana

Da Aflasco al Festival del Giornalismo e la cultura del badge

Da Aflasco a Perugia il salto è lungo, troppo lungo. E non una Perugia qualsiasi, ma quella che per 5 fitti giorni si riempie di giornalisti, attivisti, giovani e meno giovani, persone impegnate nel sociale, nella cultura, nelle innovazioni tecnologiche applicate all’informazione. È il Festival Internazionale del Giornalismo che la rende così interessante, ricca, esclusiva.

Passare dal villaggetto dove vivo alla strabordante ricchezza di sollecitazioni intellettuali mette alla prova – ancora una volta – tutta la mia capacità di adattamento. Pochi giorni prima nel silenzio, nella quiete turbata solo dalle chiacchiere delle donne e dalle voci dei bambini del villaggio, dal rumore delle onde nella notte; pochi giorni dopo nel costante vocio – spesso confuso, indistinguibile. Nella folla più o meno ordinata, fatta di volti noti, ma anche anonima. Nella corsa costante ad appuntamenti, incontri, parole e – qualche volta – solo chiacchiere.

Conta esserci, farsi vedere, incontrare e – come si dice – fare rete. E se hai un segno di riconoscimento, qualcosa che serve a distinguerti dalla massa, allora tanto meglio. Perché, si sa, spesso la tua faccia e la tua storia non bastano. Serve il marchio, eccome se serve. In questo caso il marchio è l’agognato badge.

L’organizzazione del Festival – a inizio evento – ne consegna 4, dipende a quale categoria appartieni: volunteer, staff, press e speaker. Ho provato a osservare il modo e il tempo d’uso del badge in chi ne aveva diritto, è uno studio semplice e interessante. Un’analisi superficiale forse, ma divertente.

Come spesso accade a mettersi in mostra – molte volte con ridicola sfacciataggine – sono (nel mio ordine) le ultime due categorie. Spesso i meno noti. Prima di vedere le loro facce vedi il badge – verde o rosso. Mostrato con orgoglio, con fierezza, spesso direi con arroganza. Se non fosse così (che viene mostrato con arroganza) mi chiedo quale bisogno ci sarebbe di indossarlo al mattino e poi andarci anche a cena. E persino al dopocena! To be or not to be, that is the question…

Mi chiedo se ci abbiano anche dormito la notte o, al limite, lo abbiano messo sotto al cuscino perché nessuno glielo portasse via. E mi chiedo anche – sinceramente e non con cattiveria – cosa spinge le persone a tenerselo al collo quando lasciano il Festival, raggiungono la stazione, prendono il treno e – dopo ore e persino un cambio treno – giungono a destinazione sempre con il badge incollato e ben visibile addosso. Dimenticanza? Beh, ne ho visti più d’uno solo nel mio tragitto verso casa. Speriamo non abbiano avuto lo stesso vuoto di memoria nel loro intervento al Festival o nei loro servizi giornalistici.

Apparire, apparire ad ogni costo… Cosa ci salverà dalla noia di questa logica?

Ah, a proposito, eccomi con il MIO badge.

badge

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