Ho in tasca un biglietto aereo. Pronta per partire, tornare in un Paese africano. Pronta per partire con il mio ciclo di vaccinazioni, valigie zeppe di roba, qualche soldo in tasca e, soprattutto, con un passaporto. Un privilegio, un privilegio grosso in questa età barbara.
Torno nel continente dal quale si scappa. Non tutti, no, smettiamola di pensare e dire che in Africa son tutti morti di fame, armati di machete e sottosviluppati. Torno in un continente bello, ricco, attraente. Una calamita per molti. Il mal d’Africa.
Ma di questo male molti africani sono malati davvero. Nel corpo, nello spirito, nella mente. Nel portafoglio vuoto.
Loro spesso un passaporto non ce l’hanno e neanche il diritto di emigrare, come faccio io, emigrante di lusso. Uso il mio passaporto per andare e venire, è la mia arma di potere in quel continente che non mi respinge. Certo, sì, qualcuno laggiù può guardarmi con invidia, risentimento, forse odio, perché no. Ma nessuno mi scaccia, mi insulta, mi mette le mani addosso alle frontiere.
Chi mi ha in un certo senso respinta è il mio Paese – che sta in Europa – dove spesso la tua professionalità conta poco o nulla, dove l’amicizia conta più del tuo sapere. Può essere una fortuna l’amicizia, naturale, chi dice di no, ma è anche la maledizione dell’Italia: figlio di, amico di, della cerchia tal dei tali. Come è banale.
Quello che non è banale sono i sentimenti degli uomini, donne e bambini che hanno raggiunto chissà come l’Italia. Anzi, lo so come: con forza, speranza, determinazione – e non voglio metterci disperaziione. Bloccati e al bivacco nelle nostre stazioni – Roma e Milano – ammassati sugli scogli a Ventimiglia. A guardare quel mare – o a dargli con ragione le spalle – che, in modo atavico, ricorda i viaggi degli schiavi. Del mare avevano paura, terrore. Tomba per molti durante le traversate – tre secoli di Storia – tomba per molti oggi…
Perché non devono avere il diritto di partire, tentare di rifarsi una vita. Come me e tanti come me, privilegiati. Perché.

Foto Marco Alpozzi – LaPresse. Pubblicata su Il Secolo XIX

Ansa/Luca Zennaro. Foto ripresa da Il Post
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