Oggi è la Giornata Internazionale del Rifugiato. Nel mondo ce ne sono circa 20 milioni e quasi 60 milioni di profughi. Si parte, si cerca salvezza, una vita migliore. Oggi come avveniva ieri.
Un pensiero e qualche immagine per non restare ciechi allo svolgimento della Storia.
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Valigie di cartone. O di legno brutto. Riempite all’inverosimile o semivuote. Comunque, di povere cose. Partivano così gli emigranti di un tempo.
Quelli di oggi – quelli dei barconi – non portano neanche le valigie. Qualche volta uno zainetto. Spesso buste di plastica. Sperano di trovare laggiù – dovunque sia questo laggiù – quello che non hanno.
Ma i nostri partivano con le valigie. Legate alla meglio, tenute insieme con la corda. Trascinate a fatica o anche tenute sotto al braccio. Da un lato la valigia – o anche un misero fagotto, perché sì, anche allora c’era chi neanche una valigia vecchia aveva – dall’altro lato un bambino. Intorno, tutti gli altri. Due, tre, quattro, di ogni età. Tutti, ugualmente, vestiti alla meglio. Erano quelli dei “ricongiungimenti familiari”, come si chiamano oggi. Donne – madri, mogli, qualche volta sorelle – che andavano a “ritrovare” i parenti maschi. E partivano con la stessa speranza: si andrà a star meglio.
O si partiva soli con la valigia preparata dalla mamma, dalla moglie, dalla sorella. Valigia già vecchia, già brutta, spesso presa in prestito e mai più restituita. Bisognava pur portarsi via qualcosa. Magari del cibo buono, tanto per i primi tempi… che poi chissà che si trovava laggiù. Laggiù…
Bisogna andarci almeno con una valigia laggiù. Farsi accompagnare da qualcosa. Una foto incorniciata, qualche soldo nascosto nel fazzoletto, qualche santino e un libro di preghiere. E poi il formaggio, sì. Che la mamma o la moglie te lo hanno incartato bene bene in un foglio di giornale. Questo data “marzo 1891”. Che coincidenza, proprio la data del naufragio dell’Utopia. Ci morirono 576 emigranti in quel naufragio, quasi tutti meridionali. Un nome adatto per un piroscafo diretto – impavido – verso il sogno americano. Ma affondarono tutti. Comprese le valigie e il formaggio incartato nel giornale.
Questo invece è dell’aprile 1912, ha avuto l’onore di essere a bordo del Titanic, ma anche lui si è disperso nel mare. E quel mare era gelato. In America non c’è arrivato. E neanche le valigie.
No, non si andava in crociera. Anche se spesso l’entusiasmo era lo stesso. Stipati nei vagoni o nelle cuccette di terza classe si viaggiava verso il domani, un futuro bello, si immaginava. E appoggiati alle valigie ci si addormentava e si sognava. Domani, domani arriverò e avrò un’altra vita. Ne sono certo.
Categorie:diario di un'italiana in ghana
L’ha ribloggato su noneuncontinenteneroe ha commentato:
Un pensiero e qualche immagine per non restare ciechi allo svolgimento della Storia di Antonella Sinopoli
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