diario di un'italiana in ghana

Cos’hanno in testa certi volontari?

Mi domando cosa abbiano in testa certi volontari. Ne incontro tanti, soprattutto da quando ho aperto il mio Wild Camp. Vengono qui e manifestano aspetti su cui c’è da riflettere.

Mi domando cosa realmente li spinge qui in Ghana, in Africa. Per molti penso sia voglia di avventura, ricerca di opportunità, voglia di accumulare esperienza. Ma dov’è la voglia di imparare, la voglia di capire? La voglia di cambiare…

Non la vedo in chi usa fiumi d’acqua in modo inutile e incontrollato ben sapendo (e vedendo) che c’è chi con fatica deve andare al pozzo o al tank più vicino per comprarla e rifornire il compound. E che dovrebbe avere una minima conoscenza dei problemi di questo continente. Non la vedo in chi tratta la gente del posto in modo paternalistico e supponente. Non la vedo in chi non capisce che anche qui possono esserci delle regole che vanno rispettate. Non la vedo in chi mostra nessun rispetto per gli ambienti comuni, li tratta come roba senza alcun valore (quando tu magari ci hai faticato tanto), li sporca e getta qualunque cosa a terra: dalle bucce di banana, alle bottiglie di plastica. Sì, a terra, sulla sabbia su cui è costruito il compound, senza nemmeno prendersi la briga di allungare la mano e usare il cestino lì vicino.

Mi domando cosa vadano a insegnare ai giovani studenti ghanesi questi volontari, che nei villaggi dove sono stati assegnati si sentono principi e regine. E da questi villaggi esportano (o ce l’hanno dentro?) l’abitudine di gettare cose in terra o anche farla all’aperto. Sì, anche questo. Nonostante le toilette siano a due passi dalle stanze ho anche beccato chi la faceva a ridosso della recinzione.

E così mi domando cosa abbiano in testa certi volontari. Ubriachi fradici durante le brevi vacanze dei week end. Che usano il liquore locale per risparmiare (e per rovinarsi meglio), ma che ricevono una discreta paga mensile e un’ottima buonuscita dall’Organizzazione di cui fanno parte. Che credono di poter fare quel che vogliono perché sono protetti (molti di quelli che incontro) da un passaporto e da un’organizzazione americana, che danno per scontato il loro sapere, la loro libertà, la loro “cultura” a scapito di quella di tutti gli altri.

Hanno sempre caramelle e snacks negli zaini questo tipo di volontari. Beni di “sopravvivenza”, come le gallette quando si andava (si va) in guerra. Un pezzo di casa, in quest’Africa stupida da continuare a sporcare e a pisciarsi sopra.

È la categoria di volontari la cui organizzazione stabilisce un tempo di permanenza di due o tre anni. La cosa più paradossale è che i più anziani – cioè quelli che sono qui da più tempo – sono spesso proprio quelli di cui parlo: arroganti, sporchi e “africanizzati” e pronti a dire che “l’Africa fa schifo ed è sottosviluppata”.

Esattamente come il loro piscio e bucce di banana.

[Questa è solo una categoria di volontari. Ne incontro altrettanti che sono consapevoli, profondi e rispettosi. Tanti. Ma quella di cui sopra è insopportabile e trovo che sia anche pericolosa per la mentalità che esporta e per quella che importa]

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