diario di un'italiana in ghana

La vita in una stanza. Iperconnessa, ipersolitaria

Che il nomadismo fa parte della mia storia personale ormai l’ho capito. E anche accettato. Oltre che, ovviamente, esserne io stessa l’artefice. Cambiato case, città, paesi e, persino, continenti. Ma in una stanza d’albergo non avevo mai abitato.

Com’è? Se dico impersonale sa di ovvio. Se dico triste, pure. E anche se dico deprimente. Ho la fortuna di essere adattabile, come gli alligatori che nel corso dei millenni sono rimasti praticamente immutati rispondendo ai cambiamenti dell’ambiente con costanza, istinto. Si può dire intelligenza, anche? E che sono ancora lì, anche se gli uomini – che sarebbero arrivati millenni dopo – hanno imparato a farne scarpe, borse, cinture…

Sa di temporaneo vivere  in una stanza d’albergo, ancora di più che vivere su una spiaggia in una sorta di capanna, ancor più che non avercela proprio una casa.

Ecco, appunto, vivere in un albergo ti ricorda proprio questo: che una casa davvero non ce l’hai, che se esci da quell’albergo non hai amici da ritrovare (i tuoi amici sono troppo lontani, e hanno una casa, e una famiglia e amici da incontrare). Se esci da quell’albergo sei più sola che standoci dentro – lì, almeno, dopo l’ufficio torni te stessa e torni a te stessa, a pensare, a cercare di capire.

In una stanza d’albergo capisci ancora una volta che puoi fare a meno di tutto. Poche cose sistemate con disordine nel piccolo armadio ma – cosa paradossale – uno smartphone e due laptop. Il tuo e quello che ti hanno fornito al lavoro. E sempre in funzione.

Perché la vita è ormai questo: un’infinita connessione alla Rete che ti sconnette da te stessa e dal resto del mondo. Il tuo mondo, non quello che insegui nel surfing quotidiano. Tra un sito e l’altro, un articolo e un altro, una tragedia e un’altra, un evento e un altro. Centinaia di storie. Non la tua.

Oggi mi è richiesto questo: 16 ore (più o meno) di connessione in Rete, sapere dove accade, magari perché… darne spazio e rilievo.

Mentre cerchi un piccolo spazio che sia tuo per pensare, fare qualcosa di bello, scrivere questo post, magari. Sì, questo blog è il mio spazio, qualcosa che ancora mi appartiene. Virtuale, ma almeno mio.

 

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