Si moltiplicano – anche grazie alla Rete – le occasioni di leggere storie, romanzi e anche favole nelle lingue locali del continente africano.
Spesso, si sa, la lingua rappresenta una forma di potere, di supremazia politica e sociale. Avviene anche in Ghana, dove è forte – ma solo dialettica – la “competizione” tra i gruppi tribali.
Stavolta vince l’Ewe. Nel progetto di Jalada – collettivo di scrittrici e scrittori pan-africani, il cui obiettivo è pubblicare opere di autori africani – quella finora più tradotta non compare ancora in lingua Twi ma – appunto – in Ewe.
La trovate qui. Titolo originale, in inglese, “The upright revolution: or why humans walk upright“. L’autore, lo scrittore keniota Ngũgĩ wa Thiong’o, è non solo un intellettuale, ma un rivoluzionario.
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Sono passati trent’anni da Decolonising the Mind: the Politics of Language in African Literature (“Decolonizzare la mente: le politiche del linguaggio nella letteratura africana“). Da quella sorta di manifesto sulla decolonizzazione linguistica, Ngũgĩ wa Thiong’o, non ha mai smesso di produrre nella sua lingua madre, il Kikuyu. E non ha mai smesso di stimolare il dibattito, ma soprattutto la coscienza civile e intellettuale africana sulla necessità di affrancarsi dalle sottili logiche mentali radicate dai tempi del colonialismo – e prima ancor dai tempi della schiavitù.
A partire dall’uso della lingua che – ovviamente – non è solo fatta di parole e frasi, ma stabilisce relazioni e anche meccanismi di potere. Usare la lingua madre rappresentava per lo scrittore attivista, un modo primario (non secondario o successivo) per combattere l’imperialismo e quella che lui definisce “alienazione coloniale” e – oggi – il neo-colonialismo. [continua su Voci Globali]
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