Se non hai una casa – o meglio la tua “casa” è un tetto di lamiere e canne intrecciate al posto dei muri – anche per studiare usi posti “alternativi”. Come una barca.
L’ombra delle assi, la brezza marina, il silenzio, rotto solo – qua e là – dalle voci di bambini che si rincorrono (magari i tuoi fratelli più piccoli) o dai passi pesanti sulla sabbia di donne e uomini stanchi (magari tuo padre e tua madre).
E che pace in questo “guscio” che protegge dalle urla o dall’atmosfera sconsolata che di solito aleggia nella propria casa…
È tempo di esami in Ghana, è tempo di esami anche ad Aflasco, questo piccolo villaggio dove guardo e interpreto la vita nelle sfumature che a tanti sono ignote.
Nemmeno si accorge di me, lo scolaro. È intento a leggere e studiare e io sono felice di scoprire che, anche qui, c’è chi ha volontà, voglia di riuscire. Magari desiderio di cambiare la sua sorte. Magari. Poi alza gli occhi e io gli dico di continuare a studiare, che va bene così. E sì, spero proprio che andrà bene.
PS Avrei voluto vederci una ragazza studiare in quella barca. Invece è più facile vederle lavorare, fare figli nella pubertà e perdersi in una vita di stenti.
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