Ho lasciato lì qualcosa. Non so chi lo ha preso e non so cos’è, però sento che è rimasto lì.
Assistere a una cerimonia Voodoo era da qualche parte nei miei desideri, nella mia voglia di conoscenza dell’Africa, ma l’evento è arrivato inaspettato e quasi senza nessuna preparazione. Del resto l’Occidente rifiuta sempre quello che non comprende o comunque lo relega a tradizioni selvagge, superate. Superstizioni da popoli e persone sottosviluppati, senza cultura, arretrati.
Può essere che io sia la bianca facile alla suggestione – come tanti, no? – ma anni di Africa mi hanno comunque reso anche sospettosa e mi hanno fatto perdere un bel po’ di ingenuità. Non credo quasi a niente di quello che mi si dice, pondero le parole e le interpreto secondo i comportamenti di chi mi circonda, sorrido o mi arrabbio (dipende dall’umore) alle bugie, esagerazioni, giochetti vari costruiti su misura per “l’uomo bianco”. Allora cosa è accaduto ieri?
Non mi riuscirà di spiegarlo. Qualcosa di perso, ecco la sensazione più forte. Perso per me e per le persone che erano lì. Lì da sempre, non come me – inattesa visitatrice con la sua videocamera e smartphone puntati sull’evento. Purtroppo con questi aggeggi non c’ero solo io. Giovani del villaggio intenti da una parte a partecipare con il loro ruolo alla cerimonia, dall’altra a fotografare e filmare le scene. Nel gruppo di donne, per esempio, che faceva una sorta di coro greco alle danze e ingressi dei danzatori, ce ne erano un paio che continuavano a fotografare…
Nonostante questo, qualcosa è scattato. È accaduto. Perché quel perso chi era lì era in grado di renderlo visibile, farlo parlare, raccontare. Tornare.
Per me è accaduto quando è sceso il buio e allora ho dovuto smettere di filmare. È lì che ho cominciato ad esserci. Ed è lì, probabilmente, che ho perso qualcosa. (O ritrovato?) Senza poter capire più se chi mi stava vicino era un uomo o una donna, un vecchio o un bambino. Senza poter più dire che quelle figure – da cui ormai ero circondata – parlassero una lingua diversa dalla mia. A me sembrava una cosa sola, un grande organismo vivente che si trasmetteva vibrazioni.
L’ho detto. Non mi riuscirà di spiegarlo. Quindi non mi sforzerò. Però lì c’era tutto: il passato e il futuro, le generazioni e i continenti, il dolore e la gioia. A me è rimasta la gioia. E un terribile senso di perdita. Per me e per loro. Per quelli che sono andati via con la forza. E che – se ti metti in ascolto puoi sentirlo- in queste circostanze tornano. Come torna una storia andata. Per sempre, se un giorno queste cerimonie (in realtà incontri tra passato, presente e futuro) dovessero sparire. Non succederà.
[Tutte le foto sono di ©Antonella Sinopoli]
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