diario di un'italiana in ghana

La stampa italiana scopre il Ghana. Trionfa l'”helicopter journalism”

Poi arriva un momento in cui questo Paese ti vien voglia di difenderlo. Il Ghana – se non ci vivi da ricco espatriato, e anche in quel caso non è semplice – è un Paese complicato. L’Africa è complicata. Attraente e respingente allo stesso tempo. Un mondo diverso dall’Occidente che l’Occidente vuole a tutti costi controllare e rendere simile a sè stesso. Un mondo diverso dall’Occidente che l’Africa vuole a tutti i costi emulare. Che peccato…

Mi tocca difenderlo, però. Come cittadina, ormai, di questo Paese. E come giornalista che da tempo critica l’helicopter journalism.

Si tratta del giornalismo degli inviati che per tre, quattro giorni – a volte poco più a volte poco meno – arrivano per raccogliere foto, video, interviste e poi costruire un servizio. Il problema è che si arriva qui con già nella testa la storia che si vuole raccontare e come. Si arriva con un pregiudizio già formato, si arriva attraverso contatti che da una parte assecondano la tua storia, in un certo qual modo costruita a tavolino, e dall’altra cercano di raccontarti e farti dire e vedere quello che vogliono.

In questi giorni ho scoperto un interesse – abbastanza insolito sulla stampa italiana – sul Ghana. Presa Diretta, la Stampa, Venerdì di Repubblica. Bene e sacrosanto occuparsi di un’Africa che non sia solo Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Burundi. Insomma, un’Africa sub-sahariana che non è guerra, carestie, warlords, genocidi, etc.etc.

L’interesse però nasce da uno scambio di informazioni con giornalisti italiani che probabilmente hanno messo piede in Ghana, e forse nella stessa Africa, per la prima volta. Accompagnati da fonti – dimostratemi che non sono state pagate – in luoghi specifici a dire cose specifiche. E l’immagine che ne viene fuori è la solita. Disperazione, povertà, frotte (immaginari) di neri in partenza per l’Europa.

E allora torna la mia domanda di sempre: se i media mainstream  hanno tagliato su corrispondenti e fonti interne davvero pensate che l’informazione possa essere libera, approfondita, imparziale e soprattutto reale?

Nella presentazione su Facebook della puntata di Presa Diretta dedicata al Ghana leggo: “I contadini scappano dalla fame e dalla disoccupazione e finiscono ad Accra, la capitale, a fare gli ambulanti e a lavorare nella discarica illegale di spazzatura elettronica. Da qui poi partono verso l’Europa”.

Uno: non è la discarica ad essere illegale, illegale è l’arrivo dell’e-waste dall’Europa e dal Nord America in questo Paese, con responsabilità da con dividere tra il Ghana e l’Occidente. Queste persone non sono illegali, loro sopravvivono laddove pochi di noi sarebbero capaci.

Due: Chi vi ha detto che da Agbogbloshie le persone partono per l’Europa? Io ho parlato con tanti di loro e nessuno sta programmando di venire in Europa. A meno che, qualcuno di voi, non sia disponibile a pagargli un biglietto aereo, ovvio…

Alcuni con i NOSTRI rifiuti riescono a racimolare 10, 20 Ghana Cedi al giorno (dai 2 ai 4 euro). Pensate che riuscirebbero mai a mettere da parte 5.000 dollari o più per pagarsi il passaggio nel deserto, le torture in Libia e poi la traversata nel Mediterraneo?

Molti di coloro che “vivono” nella discarica e nello slum adiacente (ma i reportage arrivati in Italia si fermano a un piccolo angolino dove il fixer è stato capace di portare gli helicopter journalists) provengono dal Nord del Paese come è stato giustamente scritto.

Allora, invito i giornalisti a darmi la percentuale dei Dagomba o Konkonba – per esempio – che sono in Italia e nel resto dell’Europa. O degli Ewe che abitano la Regione del Volta, altra area depressa del Paese. Vedrete che ne troverete pochi.

I Ghanesi in Italia e in Europa sono perlopiù Ashanti, Ga e Fanti, aree più ricche da cui, però, si scappa.

E sapete perché? I più derelitti – quelli che gli helicopter journalists non sembrano aver incontrato o con i quali non sembra che abbiano davvero parlato – rimangono qui a fare la fame e arrangiarsi e sopravvivere grazie ai rifiuti tecnologi che portiamo qui. Gli altri hanno maggiori chance e qualcuno di loro cerca di partire o di raggiungere membri della famiglia che sono già in Europa.

Mettiamoci in testa, una volta per tutte che:

Uno: il giornalismo si fa con chi conosce le realtà dei luoghi.

Due: l’emigrazione è un fenomeno NORMALE. E storico. Piaccia o no.

Perché si continua a ritenere normale che un bianco possa viaggiare e tentare la fortuna dovunque gli pare e un nero invece è considerato un clandestino a vita? Perché devono vederci arrivare e andar via dai loro Paesi, prendere quello che vogliamo – comprese foto, immagini e interviste – e loro non hanno il diritto di venire nel nostro mondo, che poi tanto nostro non è?

Di questa superficialità e arroganza sono abbastanza stanca. Seppure non interessa a nessuno, io lo dico. Non posso tacere di fronte a tanta approssimazione.

Vicende raccontate senza background perché si pensa che siano quelle che piacciono all’audience sono vicende monche, che soddisfano le nostre prese di posizione e i luoghi comuni di cui è infarcita la letteratura giornalistica.

Tanto di cappello ai colleghi che sanno raccontare, ma che però non sanno vedere. Semplicemente perché, quando sono in Africa, spesso non sanno da che parte guardare.

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