diario di un ghanese in Italia

Un passo alla volta, il quaderno di appunti e l’albero dell’incontro

Perugia ha segnato un passaggio nuovo di questa prima esperienza in Italia, in Europa. Ad agevolare l’apertura al mondo circostante sono stati due elementi. Uno: che io fossi impegnata al Festival Internazionale del Giornalismo, dunque con meno tempo da dedicare al “mio” viaggiatore; due: che il centro storico dove ci siamo mossi praticamente tutto il giorno è davvero concentrato in poche strade e viuzze.

E così l’avventura ha cominciato a trasformarsi in conoscenza. Anche, un po’, della lingua. In questo caso, cominciata prima di partire, quando su un quaderno ha preso ad annotare piccole frasi e parole. Questo quaderno si sta riempiendo piano piano di nuove espressioni. E, quindi, scoperte.

E poi, muoversi da solo.

Capisco bene quanto possa essere spaesante trovarsi in una città e non sapere da che parte andare, a chi chiedere e come. Ma qui a Perugia è stato tutto più facile. A cominciare dal memorizzare il tragitto dal nostro albergo a Piazza Italia – compreso l’uso delle scale mobili sotterranee.

Quello che a noi sembra scontato è dato dall’uso quotidiano, dalla crescita in un contesto specifico. Ma per coloro i quali il contesto è stato diverso, è come essere bambini che imparano ogni volta qualcosa di nuovo. E ancora: come comprarsi la pizzetta da solo in uno dei posti più noti di Perugia per il take away della pizza al taglio. Memorizzare le location dei panel dove ritrovarci, trovare la piazzetta più assolata per riposare.

L’incontro e la conoscenza di amici hanno fatto la loro parte. Poter parlare con loro in inglese, sorridere, scherzare, fare gruppo. Una gioia, quando di questi amici hai sempre e solo sentito parlare e ora puoi stringergli la mano e abbracciarli. E conoscere giornalisti, soprattutto quelli africani, parlare con loro, ascoltarli, scoprire quanti di grandi ce ne siano.

Eppure lui, rimane lui, rimane con la sua Africa dentro. E quindi come faccio a meravigliarmi se a un certo punto mi manda un messaggio su whatsapp per avvertirmi e darmi appuntamento: “Sono qui, sotto l’albero. Vieni quando puoi…” L’albero è uno tra quella decina o quindicina, non so, che sono nei giardini di fronte al Brufani.

Il mondo rimane allora una foresta e anche quando questa foresta è fatta di strade, cemento e palazzi storici conserva la sua origine primordiale e, da qualche parte, un albero sotto cui ritrovarsi. Proprio come in Africa.

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