
Foto di ©Antonella Sinopoli
Il diritto alla partenza è sacrosanto. Io la penso così. Se io posso, anche gli altri devono – dovrebbero – avere la possibilità di farlo. Anche se non fuggono da guerre e torture.
Nel 2016 – leggo su Quartz – i ghanesi arrivati in Italia, non con un aereo di linea… , sono stati 5.636, il 27% in più dello scorso anno. 823 è il numero di quelli arrivati dall’inizio di quest’anno, fino ad aprile.
Ma perché questa gente lascia un Paese pacifico e, a modo suo, accogliente? Semplice: per cercare un futuro migliore, per crescere, per migliorare, per poter un giorno dire “ce l’ho fatta!“.
Migrare è un diritto che si cerca di scongiurare a tutti i costi. Quando si tratta degli altri però, non di noi.
“Tutti i giovani pensano all’emigrazione come principale scopo della vita. Si tratta di un pensiero profondamente radicato nelle loro menti” dice Delali Margaret Badasu, direttore al Centro per gli studi sulle migrazioni dell’Università del Ghana.
Una cosa interessante, a cui si fa sempre poco cenno, è che a restare sono i più poveri, i più disperati, quelli per i quali mettersi in viaggio non può che restare un sogno, seppure hanno il coraggio di sognare…
A partire o a pensare di farlo sono coloro che sono riusciti a mettere qualche soldo da parte, che spesso hanno l’appoggio della famiglia – che poi si aspetta di essere aiutata da chi è arrivato in Europa – che magari hanno qualche attività, come Sampson, nel cui pezzo si racconta la storia.
Lui proviene da una famiglia di allevatori di polli in una regione del Paese che non è certo la più povera, Brong-Ahafo. Ma le prospettive di crescita e miglioramento sono così scarse che partire – per sé e per la famiglia appunto – è un richiamo troppo forte. Soprattutto quando gli affari non vanno per niente bene.
Che fare? Fermare queste persone? Privarli di sogni, speranze e possibilità di successo? Sì, questo è quello che in molti vogliono fare.
Lo scorso anno, proprio nella regione di Brong-Ahafo, a Sunyani, è stato aperto un Centro informazione per le Migrazioni sovvenzionato dall’Unione Europea. Un po’ di quel denaro dato dall’UE a questi Paesi per bloccare i flussi migratori. Nel sito si legge che l’obiettivo è fornire tutte le informazioni necessarie per una migrazione regolare. Come se questa gente non sapesse cosa occorre.
Bene, una migrazione regolare vuol dire riuscire ad ottenere un passaporto e poi un visto, ad acquistare un biglietto aereo e trovare qualcuno che ti faccia lavorare. A queste prospettive – tutte difficilissime – si preferisce il deserto, poi la Libia, poi il Mediterraneo…
Rischiare e tentare la sorte è a volte l’unica prospettiva, perché, come dice Sampson: “Se vai ad Accra non c’è lavoro, se vai a Kumasi non c’è lavoro. Così l’unica opzione per una vita migliore è cominciare il viaggio verso l’Europa“.
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