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Togo, la lotta contro il nepotismo

Si chiama nepotismo e in Africa non è raro gestire gli affari – soprattutto pubblici – girandoseli tra membri della propria famiglia. Solo che quando si tratta della gestione di una nazione e dei suoi cittadini e se dura ormai da 50 anni ci si deve forse aspettare una reazione. Prima o poi.

È quando sta avvenendo in Togo in questi giorni. Una serie di proteste contro l’attuale Governo guidato da Faure Gnassingbe, al potere dal 2005 e subentrato alla presidenza del Paese alla morte del padre, Gnassingbe Eyadema, a sua volta alla guida del piccolo Stato del West Africa per 38 anni.

La famiglia Eyadema è molto temuta in Togo e la conoscono bene anche le organizzazioni per i diritti umani. Come Amnesty International, che varie volte ha denunciato la situazione nel Paese.

Da qualche giorno sono in corso proteste di piazza scandite dallo slogan “50 ans est trop“, 50 anni sono troppi. Proteste che hanno già provocato diversi feriti e due morti, secondo le autorità, sette secondo il partito di opposizione, il PNP (Panafrican National Party), che sta guidando la popolazione stanca di abusi di potere.

E, non a caso, la città dove il bilancio è più grave è Sokode, 338 km a Nord della capitale, Lomè, considerata la roccaforte del PNP. Ma cortei si sono anche svolti nella capitale, ad Anié, Kara e Bafilo.

I dimostranti chiedono che venga reintrodotta la Costituzione del 1992 che aveva portato alla democrazia multipartitica dopo anni di dittatura. Ma dieci anni dopo la Carta costituzionale fu emendata per permettere a Gnassingbe Eyadema di governare ancora, eliminando di fatto i termini temporali della presidenza.

Nel 2005, dopo l’elezione del figlio – attualmente al potere – ci fu una sollevazione di massa che provocò circa 500 morti a cui seguì di fatto una dittatura autoritaria e arbitraria. In molti all’epoca scapparono dal Paese e ancora oggi si respira un regime di paura mentre, chi può, pensa di nuovo alla fuga.

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