Una volta, secoli fa, che non sono poi tanto lontani, navi e vascelli solcavano l’Oceano. Navi negriere, Oceano Atlantico.
Partivano più o meno vuote, il necessario per la ciurma e chi la guidava. Tornavano zeppe di merce. Merce umana. E qui e là, sacchi di spezie, beni e metalli preziosi e manufatti che sarebbero andati ad arricchire case private o musei.
Questi viaggi sono durati 4 secoli, compreso il secolo dei Lumi …
Tratta degli schiavi, slave trade, dove trade, si sa, significa commercio. Commercio di esseri umani. Anzi, commercio di negri.
Si calcolano 12,5 milioni di persone strappate alla loro terre e alle loro case per diventare manodopera sfruttata fino alla morte nelle piantagioni di cotone, riso, zucchero e tabacco delle Americhe e dei Caraibi. Alle marce forzate attraverso i territori interni, prima di arrivare sulle coste per gli imbarchi, ne sopravvissero 10,7 milioni. Gli altri morirono marciando, di botte, di stenti o sommersi dall’Oceano.
Si tratta di stime ufficiali ma – per loro natura – approssimative. In ogni caso insopportabili… Secondo i documenti d’archivio sarebbero state più di 1.000 le navi negriere affondate nel corso dei secoli di tratta. Un “patrimonio” di storia e dolore.
da: Torna alla luce la storia sommersa della tratta degli schiavi scritto per Voci Globali
Con tutta questa manodopera: forte, sottomessa e praticamente gratuita, si sarebbe costruita l’economia dell’Europa e delle Americhe. Fino all’avvento delle macchine che, prima e probabilmente ancor più delle battaglie per i diritti umani e civili, resero inutile e superato l’uso degli schiavi.
XX° secolo, XXI° secolo. Imbarcazioni sfondate, gommoni con benzina insufficiente solcano (tentano di farlo) il Mediterraneo. Uomini, donne e bambini né schiavi né liberi le riempiono all’inverosimile. Nessuno li vuole a dire il vero. Inutile merce avariata che nessuno ha più interesse ad usare.
Secoli fa gettarli ai pesci quando morivano o erano troppo malati (e dunque venivano gettati vivi) era un modo per alleggerire il carico. E oggi? Che bisogno c’è di questo carico umano in Europa? – ma anche negli USA, che lo voglia o no è coinvolta in questa faccenda.
Che muoiano inghiottiti dalle onde. In quel mare dove nuoteremo felici e spensierati. Che muoiano ingoiati dai pesci. Quei pesci che mangeremo con gusto e avidità. Insomma, che muoiano.
E se proprio non vogliono morire che tornino indietro. Nei deserti, nelle città e nei villaggi che hanno attraversato o nelle prigioni libiche che di questa merce umana sanno che farne. L’importante è delegare agli altri – che siano gli elementi naturali o altri esseri umani (?) – il lavoro sporco. Perché in Europa proprio no. Non ne abbiamo più bisogno.
Negli ultimi 15 anni oltre 30.000 migranti sono morti nel Mediterraneo. Il 60% di loro resta senza volto e identità. Proprio come avveniva secoli fa. Ma che importa, non ne abbiamo più bisogno. Che restino a casa loro.
Il ciclo economico è cambiato. E anche la parola d’ordine: aiutiamoli a casa loro. Ma oltre questa, di parole d’ordine ce ne sono altre: sfruttiamo casa loro, occupiamo casa loro e, soprattutto, facciamogli capire che i diritti sono uguali solo sulla carta e che – comunque sia – il mare per loro è una tomba.
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