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Disoccupazione e corruzione, due buoni motivi per lasciare l’Africa

Ci sono cose che lasciano pensare che l’Africa Sub-Sahariana potrebbe restare a lungo in  bilico tra le potenzialità di crescita e sviluppo interno e la soggezione  all’Occidente.

Lo fa pensare ad esempio l’ipocrisia dei capi di Stato. O – per dirla meno drasticamente –  la totale mancanza di autocritica. Qualche giorno fa il francese Emmanuel Macron ha fatto visita ad alcuni presidenti africani.

Ci sono temi, però che sono stati accuratamente tenuti fuori. Il “colonialismo monetario” ad esempio.

Quello che fa in modo che le monete locali valgano poco o niente, che le transazioni commerciali si svolgano in dollari e che il dollaro sia la valuta più “adorata” e ricercata tra i cittadini ricchi e quelli in stato di bisogno.

Quel colonialismo monetario che determina che l’inflazione spesso dipenda da beni esteri immessi sul mercato e dal fatto che l’agricoltura locale – ad esempio – è strozzata dalle multinazionali. Quello che crea una dipendenza economica e culturale, come sanno bene i Paesi francofoni che usano il Franco CFA, restando così nell’influenza diretta francese. Un simbolo di un potere coloniale mai finito, secondo chi – periodicamente organizza proteste e dibattiti per denunciare questa forma di oppressione che passa attraverso la valuta.

Altro tema tenuto fuori dagli speech ufficiali – ma probabilmente anche privati o non toccato con soluzioni alla mano – è la mancanza di prospettive, di lavoro, per un numero troppo alto di giovani africani.

Il presidente ghanese è stato addirittura adulato per aver “avuto il coraggio” di dire a Macron che l’Africa deve cominciare a fare da sola, senza aiuti, per costruire il proprio futuro. Ed è stato applaudito per aver detto che i giovani che attraversano il deserto e il Mediterraneo per arrivare in Europa dovrebbero in realtà sviluppare le loro energie nel proprio Paese.

Sarebbe un bel discorso se non dimenticasse i tassi di disoccupazione e sotto occupazione del continente. E quanto ancora poco i Governi africani stanno facendo per creare prospettive per i giovani. Ogni anno solo poco più di 3 milioni di posti di lavoro sono creati nel continente a fronte di 10-12 milioni di giovani che si mettono alla ricerca di un lavoro.

Un recente studio elaborato su dati dell’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) fa sapere che l’economia informale in Africa contribuisce dal 50 all’80% del PIL, rappresenta tra il 60 e l’80% di possibilità di lavoro e il 90% degli attuali posti di lavoro. Per spiegare meglio 9 su 10 lavoratori sia nelle aree rurali che urbane fanno solo lavori informali, in sostanza si arrangiano.

Gli impieghi non sicuri, che non danno certezze e che generalmente si svolgono su base giornaliera sono inoltre quelli riservati alla popolazione più povera – si calcola che il 33.6% vivano in stato di povertà estrema. E questo va ulteriormente a peggiorare le cose.

Chi prova o ha la possibilità di cambiare la sua sorte – nel suo Paese – deve scontrarsi spesso con un altro problema serio: la corruzione. E di questo i leader africani sono molto, molto ben consapevoli.

Proprio in Ghana è partita una campagna di denuncia e #ghanasaysno. Sono persone comuni che parlano, segnalano casi, portano innumerevoli prove e testimonianze. Una piaga, quella della corruzione e dell’asservimento al potere che in Ghana – come in molti altri Paesi africani – è ben nota e, spesso, è perpetrata da pubblici ufficiali.

Endemica mancanza di lavoro e corruzione: due fattori che frenano lo sviluppo del continente africano. Due fattori che abbrutiscono le popolazioni, che generano il bisogno di aiuto. Che spingono i giovani a cercare altrove la loro strada.

Perché, a tenerli nel loro Paese, non possono bastare le parole, né può bastare l’orgoglio nazionale.

 

 

 

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