Ci si lamenta perché il mondo va a rotoli, l’ambiente collassa, molte specie faunistiche sono in pericolo di estinzione. Però non rinunciamo all’albero di Natale in casa, quello vero, l’abete.
Poi magari ci diranno che sono tagli regolamentati, che per ogni l’albero tagliato ne vengono piantati chissà quanti altri, etc.etc.
Ma perché ci commuove la deforestazione in Africa e non ci commuove l’agonia di un albero nel salotto di casa? Ci commuove sì, tranne dimenticarci della questione in questo periodo.
Che il mondo vada in modo un po’ strano si sa. In Kenya ce la mettono tutta per ripiantare alberi, il Green Belt Movement, fondato dal Nobel per la Pace, Wangari Maathai, rimane uno dei movimenti ambientalisti autoctoni più attivi nel continente, anche dopo la morte della fondatrice.
La Great Green Wall, grande muraglia verde, rimane una speranza nella desertificata regione del Sahel. Cominciata nel 2007 (non è facile capire a che punto sia realmente) dovrebbe coprire una striscia di 8000 kilometri dal Senegal (West Africa) a Djibouti (East Africa).
I motivi della deforestazione nel continente sub-sahariano sono tanti, su Voci Globali vi abbiamo dedicato vari articoli. Dalle multinazionali che invadono la terra a quelle che commerciano in legname senza soste e senza regole; dalla mancanza di cultura ambientale alla necessità dei piccoli coltivatori di far fruttare la terra al massimo e nel più breve tempo possibile.
Fatto sta che la situazione è preoccupante.
Wangari Maathai dicevea.
Quando piantiamo alberi piantiamo i semi della pace e della speranza
Al contrario, quindi, quando li sradichiamo strappiamo pace e speranza e generiamo morte.
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