Qualche giorno fa Face2Face Africa ha pubblicato un articolo dal titolo “Name and Shame” in cui presenta un elenco e la storia di 18 africani che ebbero un ruolo attivo nella tratta degli schiavi.
Ne emerge qualcosa che può sembrare ovvio e risaputo – la complicità di capi locali attirati dai ricavi economici e interessati ad accrescere la loro posizione e influenza sia nei confronti delle proprie comunità che degli invasori coloniali.
Quello che invece dovrebbe stupire è il ruolo di persone che provarono la schiavitù e, quando riscattati dai loro padroni, divennero essi stessi mercanti di esseri umani.
Fu il caso – per esempio – di Seriki Williams Abass, nigeriano, che dopo essere stato portato in Brasile dal suo master e istruito in diverse lingue e culture, tornò nella sua terra come partner di quello che, nel frattempo, era diventato suo socio in affari.
Interessante per questa riflessione è anche la figura del ghanese (etnia Fante) William Ansah Sessarakoo, (immagine a sx) figlio di un noto mercante di schiavi nell’area di Cape Coast, alleato con gli inglesi.
William fu mandato a studiare in Inghilterra ma il capitano della nave lo vendette come schiavo e finì per anni alle Barbados. Solo dopo anni il padre seppe dove si trovava e ne chiese e ottenne la liberazione. Averlo messo in catene fu considerata un’onta. Inutile dire che William, tornato a Cape Coast tornò a dedicarsi all’attività di famiglia.
E neanche il genere mette al riparo da atteggiamenti di disprezzo per la vita altrui. Fu una commerciante di schiavi anche Efunroye Tinubu, nigeriana, che – come viene riportato – tradendo un accordo con gli inglesi – continuò a fare commercio di uomini in segreto con i portoghesi e brasiliani in cambio di armi. In Guinea e Guinea Bissau erano invece attive nel commercio di uomini Niara Bely e Bibiana Vaz
Senza contare che spesso il commercio degli schiavi era un vero e proprio business di famiglia che si tramandava di padre in figli (o figlie). Come è il caso di Emmanuel Gomez senior (Niara Bely era sua figlia). O anche dei figli (o figlie) di europei e di un’africana, avviati al commercio dal padre, come il caso di Betsy Heard, che prese le redini degli affari paterni in Guinea.
Sono solo alcuni dei nomi dei “collaborazionisti“. Poi ce ne sono tanti altri che hanno – al contrario – fatto la storia del movimento abolizionista. Africani che si appellavano ai principi universali di uguaglianza e libertà.
Qui ne ricordiamo qualcuno.
Toussaint Louverture, (immagine a sx) divenuto celebre per aver condotto la più grande rivolta di schiavi nella storia, nel 1791.
Una rivolta – contro i francesi e gli spagnoli – che durò 12 anni e che portò la colonia francese di Santo Domingo a diventare una nazione indipendente, Haiti.
Haiti divenne la prima colonia al mondo in cui venivano respinti sia il concetto di razza come elemento fondante della struttura sociale sia quello che i bianchi europei fossero intrinsecamente superiori ai neri.
Vogliamo citare anche Harriet Ann Jacobs che visse a lungo lo stato di schiavitù in America, e diventò in seguito una nota scrittrice, conferenziera e abolizionista.
E ancora Frederick Douglass, primo afroamericano candidato vicepresidente degli Stati Uniti e fermo sostenitore dell’uguaglianza di tutti i cittadini e del diritto di voto anche alle donne.
E non si può non ricordare Harriet Tubman (nella foto) nota per il suo impegno per i diritti civili e – mettendo costantemente a repentaglio la propria vita – per aver portato in salvo decine e decine di schiavi dagli Stati schiavisti a quelli che intanto avevano abolito la schiavitù, lungo la famosa Road to freedom.
Non a caso fu soprannominata la “Mosè degli afro-americani“.
Infine, Olaudah Equiano, considerato il primo schiavo nero a scrivere l’esperienza terribile della schiavitù, nella sua autobiografia.
Ma in effetti gli africani che diventarono attivisti dei diritti umani e civili a seguito della loro personale e terribile esperienza e che cambiarono così il modo di pensare e le sorti politiche dei Paesi in cui erano stati trascinati con la forza, furono tantissimi, Un lunghissimo elenco che probabilmente supererebbe quello di chi li tradì e che non conosceva cosa fossero i diritti umani universali – o non aveva nessun interesse a saperlo.
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