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Italia, investe in Africa ma respinge gli africani

L’Italia è il primo Paese europeo in termini di valore degli investimenti diretti esteri con decine di progetti sparsi in varie aree del continente.

Un totale pari a 11.6 miliardi di dollari, nel 2017. Viene subito dopo la Cina che ha investito 38.4 miliardi di dollari e gli Emirati Arabi (14.9 miliardi).

È un continente in crescita – pur dibattendosi tra mille problematiche e mutamenti necessari a livello di legislazioni e di impatti su tutta la popolazione – quello che emerge dal report Africa Economic Outlook 2018

E il trend che riguarda la presenza italiana come prima nazione europea in termini di investimenti in Africa, sembra non fermarsi, se consideriamo le ultime visite di delegazioni di imprenditori italiani in Zimbabwe, per esempio, o le strette sugli accordi sul gas in Algeria del colosso ENI.

Ed è proprio ENI la prima impresa in Africa. “La nostra Africa” scrivono sul sito, che oltre a richiamare Karen Blixen, ha una non vaga nota di coloniale memoria.

Comunque sia, “Oggi l’Africa fornisce oltre la metà della produzione totale di greggio e gas naturale di Eni, che si conferma primo produttore internazionale nel continente” si legge sempre nella home page del sito.

La seconda grande azienda italiana presente in Africa è Salini Impregilo, impegnata nel settore delle grandi opere: Decine i cantieri aperti in Africa: Nigeria, Sierra Leone, Libia, Etiopia, Namibia,Tunisia.

Per cambiare ambito, c’è la Ferrero, che ha sedi tra l’altro in Camerun e Sud Africa. E poi molte altre.

E andrebbero citate le piccole e medie imprese che da anni operano sul continente, soprattutto nel settore delle costruzioni (ma non solo) spesso in accordi societari con imprese locali.

Una presenza, quella delle aziende italiane in Africa che dovrebbe inorgoglirci. A parte poi sapere che spesso il prezzo del nostro benessere è dato da accordi non puliti per lo sfruttamento delle risorse e dal terribile inquinamento ambientale e violazione dei diritti umani.

Non si pensa mai abbastanza a quanto tutto l’Occidente e quindi anche la nostra nazione beneficino delle risorse naturali africane e di come il nostro stile di vita sarebbe impossibile se ne dovessimo fare senza.

E sono le necessità  del continente che fanno crescere tante delle nostre aziende che, certo, portano lavoro e – si dice – “sviluppo”, anche se quest’ultimo è un concetto opinabile e, oggi come oggi, da rivedere e destrutturare.

Perché dunque è così difficile capire che se si “usa” un continente bisogna anche rispettarne gli abitanti, rispettare la “loro” terra, rispettare il loro desiderio di affrancarsi dal bisogno e, perché no; di venire di persona a vedere com’è questa Europa – questa Italia – che promette tanto, prende tanto e respinge tanto.

 

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