I cittadini del Burundi resteranno sempre più isolati dalla comunità internazionale. A questo mira la decisione del Governo del presidente Pierre Nkurunziza che ha chiesto la chiusura definitiva dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo nella capitale Bujumbura.
Con l’organismo il Governo aveva già interrotto le relazioni dal 2016, ma una nota ufficiale di questi giorni inviata al coordinatore dell’ONU residente in Burundi ha espressamente richiesto la chiusura della sede e il ritiro del personale entro fine mese.
Tale decisioni – affermano i commentatori – non è che l’espressione della crescente radicalizzazione di questo Governo e la prova che vuole eliminare a poco a poco tutti i testimoni scomodi che possano raccontare e condannare le azioni in contrasto con i diritti di questo Governo.
Tra l’altro il Burundi è stato il primo Paese africano a ritirare, lo scorso anno, la sua adesione alla Corte Penale Internazionale che giudica crimini contro l’umanità. La Corte ha aperto da tempo un fascicolo e inchiesta sui presunti crimini del Governo burundese.
Il Paese è nella morsa di una profonda crisi da quando, nel 2015, il presidente Pierre Nkurunziza ha annunciato la candidatura al terzo mandato. Un annuncio che ha dato il via a proteste, ma anche ad arresti arbitrari e violenze. Finora si parla di 1.200 morti e oltre 400.000 sfollati. Una situazione che peggiora di giorno in giorno, come testimonia il rapporto di Amnesty International.
E proprio ieri BBC Africa Eye aveva pubblicato un eccezionale documento che testimonia la presenza nel Paese di prigioni segrete dove viene sistematicamente praticata ogni forma di tortura ed esecuzioni extragiudiziali.
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