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Una black doll per Natale. L’orgoglio nero e femminile in una bambola

È recente il caso dei bambolotti di pelle scura banditi nel nido di  Codroipo (Udine). Ancora una brutta storia di ottusità oltre che di stupido razzismo.

E se a Natale – ma non solo – si cominciassero a regalare bambole, bambolotti e Barbie dai chiari tratti africani?

black dools

Ce ne sono di tutti i tipi. Belle, bellissime, tenere, sportive, attraenti… Gli stili non si contano a dimostrare che si tratta di un mercato ormai in espansione. Un’ovvia risposta all’assolutismo della cultura occidentale. Cultura che naturalmente incide sulla crescita dei più piccoli e a questi vuole imporsi nei modelli da seguire e da apprezzare.

Negli anni si sono moltiplicate le iniziative – culturali e commerciali – per aprire uno spazio alla tradizione africana, al suo rispetto e alla sua dignità. Anche attraverso le bambole. Che stanno a significare “orgoglio nero“.

È il caso, per esempio, di Natural Girls United, non solo shopping online, ma anche un impegno: quello di rilanciare la bellezza dei capelli afro naturali. Recuperare insomma le proprie radici, attraverso la presa di coscienza del proprio corpo, a partire dai capelli.

È sempre stato così in periodi di lotta estrema, penso ad Angela Davis e alla sua orgogliosa capigliatura afro ma anche alle proteste nelle Università Sudafricane di ragazze che hanno rifiutato l’obbligo di tagliarsi i capelli.

Siamo nell’epoca in cui milioni di donne africane usano parrucche, si stirano i capelli e usano prodotti per schiarirsi la pelle.  Il motivo? Assomigliare a chi si ritiene migliore, perché “bianco è bello” pensano in molte e in molti. Conseguenze – ovviamente – di oppressioni millenarie, dell’epoca delle tratta e delle colonizzazioni. Di supremazie che dovrebbero aver fatto il loro corso sulla via della decolonizzazione della mente per cui tanti pensatori e attivisti africani si sono battuti.

Una bambola non è quindi solo un oggetto ludico, è molto di più. E porta con sè significati e lotte.

Lo sanno bene le donne – a cominciare dall’afroamericana Stacy McBride-Irby e le sue Barbie nere – che hanno avviato imprese per la produzione e vendita di black dolls. Ne cito solo qualcuna, sapendo di fare torto ad altre (beh, potete mettervi alla ricerca voi stessi). Per esempio Olivia Mengich, imprenditrice kenyota, creatrice delle Swahili Princess.

O Caroline Hlahla e Khulile Vilakazi-Ofosu, fondatrici della Sibahle brand. Sibahle è una parola Zulu (Sud Africa) che significa “Siamo meravigliose”. Anche in questo caso il concetto base è dare alle bambine altri modelli di identificazione e di riappropriazione di sè.

E a proposito di identificazione è di grande interesse il lavoro di Kay Customz, teso ad abbattere i pregiudizi e l’esclusione di bambine nate con albinismo o vitiligine. “Voglio trasmettere il messaggio che la bellezza non dovrebbe essere prodotta artificialmente ma dovrebbe essere basata sulla propria e reale immagine di sè“. Questo il messaggio di Kaye. Ovviamente, anche per lei uno store online.

 

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