Un piano di investimenti per mitigare le conseguenze del riscaldamento globale, ma anche per gestire l’insicurezza nella regione provocata dalle sempre più numerosi incursioni violente di Boko Haram.
Ci lavoreranno i capi di Stato dei 17 Paesi del Sahel che si sono incontrati in Niger per discutere per trovare una soluzione comune ai problemi che affliggono l’area.
Il piano di investimento per il clima dovrebbe impegnare 400 miliardi di dollari in 12 anni. Non è ben chiaro da quali casse arriveranno i soldi, se da quelle degli Stati africani o dalla UE o altre agenzie estere. Nella regione del Sahel – un’area di oltre 3 milioni di km2 – vivono oltre 100 milioni di persone.
Tra le “conseguenze” del riscaldamento globale, il presidente nigerino, Mahamadou Issoufou , che ha ospitato l’evento, ha citato i cambiamenti nelle precipitazioni, le ormai ricorrenti siccità, l’avanzata del deserto, la scarsità di acqua e di pascoli. Tutto questo provoca naturalmente l’aumento della povertà.
Nell’ultimo secolo il deserto è avanzato del 10%, come ha affermato una recente ricerca scientifica pubblicata sul Journal of climate. E questo ha naturalmente portato via acqua, pascoli e aree da coltivare.
Il piano di investimento – è stato spiegato – va in direzione della messa in atto degli impegni presi anche dagli Stati africani dell’Accordo di Parigi, riguardanti appunto il riscaldamento globale.
Il presidente nigerino ha anche sottolineato quanto la questione climatica sia legata a quella della (in)sicurezza. “La nascita e lo a crescita di Boko Haram – ha detto – sono in parte legati all’impoverimento delle acque del lago Ciad, che ha avuto un impatto sul sistema agricolo, sulla pastorizia e sulla pesca“.
E, aggiunto, “il Sahel sarà probabilmente una delle principali regioni di origine dei 250 milioni di migranti previsti nel 2050 in tutto il mondo“.
Quello che è mancato nel vertice è solo un po’ di autocritica rispetto alle politiche dei leader del Sahel e all’estrema corruzione che rende a volte difficile arrivare con progetti adeguati e concreti alle popolazioni più colpite sia dai cambiamenti climatici – e le sue conseguenze – sia dall’estremismo jihadista.
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