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Ciclone Idai, c’è chi accusa l’Occidente e le scellerate politiche economiche

C’è chi, come il BLF (Black First Land First) – partito sudafricano panafricanista – afferma che la colpa della tragedia sia da imputare ai bianchi e all’Occidente per l’indiscriminato sfruttamento delle risorse e per l’emissione dei gas serra.

Non si tratta di un disastro naturale – si legge in una nota diffusa dalla stampama di omicidio di massa che poteva essere evitato“. Invece le cose sono andate nel peggiore dei modi, a causa di una “cultura vorace e della civiltà della morte“.

I membri del partito di stampo socialista chiedono che ONU e comunità europea si assumino le proprie responsabilità, anche attraverso risarcimenti e una diversa politica ecologica.

Non si saprà forse mai il numero esatto delle vittime del ciclone che dal 14 al 17 marzo ha colpito un vastissimo territorio compreso nell’Africa centro-orientale. Tre i Paesi che ne hanno subito la violenza: Mozambico, Zimbabwe, Malawi. I danni più gravi, anche in termini di vite umane, si sono registrarti in Mozambico. Si parla in totale nei tre Paesi di oltre 700 morti accertate, ma potrebbero essere molto di più.

Secondo il World Food Program delle Nazioni Unite almeno 600.000 sfollati. Interi villaggi e città sono state spazzate via. E ora, come sempre accade in questi casi, scarseggiano acqua e cibo. le malattie sono in agguato e alla conta delle vittime si aggiunge la difficoltà di trovare punti di riferimento e strade libere per portare aiuti e sollievo.

Una tale gravità poteva essere ridotta? Alla furia della natura quanto ha contribuito la mano dell’uomo?

Come si ricorda in quest’articolo,  di Marco Cochi, “l’Africa produce solo il 4% dei gas serra ma paga le conseguenze del riscaldamento globale”.

Quello che è accaduto in questa parte del continente sarebbe solo una conseguenza di scellerate politiche economiche e di sfruttamento di territori e risorse che non tiene conto che la natura, per quanto forte, può essere indebolita fino a non resistere più a pressioni costanti e distruttive.

Certo, c’è la povertà, ci sono case e capanne costruite alla meglio su territori franosi e instabili, certo c’è il problema di infrastrutture e vie di comunicazione.

Se le condizioni di vita delle popolazioni colpite fossero state diverse probabilmente il numero delle vittime sarebbe inferiore a quest’ecatombe, ma la tragedia – questa come altre – forse potrebbero cominciare ad essere previste. Proprio perché, in buona misura, annunciate.

 

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