Quando si parla di mutilazioni genitali femminili (FGM) il pensiero corre subito all’Africa. Sono una trentina i Paesi al mondo dove si pratica ancora la mutilazione (in tutto o in parte) dei genitali delle donne.
La maggior parte sono appunto in Africa, anche se tale “tortura” è praticata anche in aree del Medio Oriente e del continente asiatico.
Anzi, la mutilazione viene effettuata anche in Australia, Europa o Nord America. Effetto delle migrazioni. Le famiglie, infatti, portano con sé “abitudini” e usi che non abbandonano quando si trasferiscono in altri Paesi. Di questo attaccamento alle tradizioni fanno le spese le bambine.

A cura di Stop FGM Middle East
Ma il caso di una donna americana che ha subito il “taglio” non ha a che fare con la tradizione, ma con una visione estremista (fanatica) e punitiva della religione.
La donna, che oggi ha 40 anni, ha raccontato – chiedendo l’anonimato – la sua drammatica storia. La storia di un avvenimento che le era stato presentato come speciale e che si trasformò in un incubo con effetti – dal punto di vista psicologico e sanitario – che si ripercossero anche nel futuro.
A decidere per lei furono i genitori appartenenti a un gruppo religioso cristiano estremamente rigoroso che – ha detto la donna – consideravano molte cose come un peccato. Tra queste cose c’erano, naturalmente, il desiderio e il piacere sessuale. Il padre era un ministro della chiesa evangelica e la sua autorità era indiscussa. “A noi veniva insegnato che gli uomini erano i leader e che Dio voleva che le donne fossero sottomesse“.
Non solo lei, ma anche la sorella subì la stessa violenza. Questo caso si aggiunge ad un altro emerso un paio di anni fa. A raccontarlo fu Renee Bergstrom, ora settantenne, che rivelò che la madre aveva deciso di farla sottoporre alla mutilazione perché – disse – la bambina si toccava. Renee aveva allora 3 anni e “l’intervento” si svolse nella clinica della chiesa frequentata dalla madre.
Potrebbero essere molti, ma molti di più i casi di donne americane sottoposte alla mutilazione. Lo affermano sia le vittime che stanno raccontando, sia le organizzazioni che hanno cominciato una battaglia per portare allo scoperto queste verità e perché siano condannarle pubblicamente.
Secondo dati storici, riporta la Thomson Reuters Foundation, “nel XIX secolo alcuni dottori negli Stati Uniti praticavano il taglio del clitoride per prevenire la masturbazione e atteggiamenti considerati problematici per una donna. Storici affermano che la pratica smise solo nella prima metà del Ventesimo secolo“.
Da quanto sta emergendo pare, invece, che il modo di pensare che porta a praticare le mutilazioni genitali sulle donne sia rimasto profondamente radicato in certi ambienti e che la pratica stessa sia, appunto, ancora presente.
Nonostante i casi stiano diminuendo nel mondo grazie anche alle campagne contro questa pratica, sono più di 200 milioni al mondo le bambine e ragazze che hanno subito una delle forme di mutilazione genitale. Tre milioni di ragazze, inoltre, ogni giorno sono a rischio di esservi sottoposte. La maggior parte di loro vengono “tagliate” prima del quindicesimo anno di età.
I dati sono forniti dalle agenzie delle Nazioni Unite che lavorano sulla questione, Unicef e WHO (World Healf Organization).
In Africa la situazione più drammatica riguarda la Somalia con il 98% delle donne sottoposte a FGM, la Guinea (97%), Djibouti (93), Sierra Leone (90%).

Dati UNICEF, periodo 2004-2015
Che bisogna agire soprattutto a livello culturale e sociale, lo dimostrano le risposte date da donne intervistate nei Paesi dove vengono praticate le FGM.
Secondo dati raccolti dall’Unicef, in Gambia, per esempio, due ragazze su tre sostengono la pratica e ritengono debba continuare. In altri Paesi, come il Chad, anche se 4 su 10 ragazze hanno subito la mutilazione l’atteggiamento verso questa pratica è differente e critica a seconda del gruppo etnico e religioso di appartenenza.
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