A voler cercare, studiare, approfondire, di esempi di quanto la narrazione sull’Africa sia stata falsata se ne trovano tanti.
Una storia scritta da chi il continente lo stava violentando, depredando, e anche plasmando – tracciando confini, imponendo culture – a suo piacere. E per il proprio interesse, ovviamente.
Tanto, come affermava Hegel, “l’Africa è un continente senza Storia“. E se a dirlo era un grande filosofo (Hegel è considerato uno dei padri dell’idealismo tedesco) figuriamoci cos’altro potevano dire gli altri.
Il problema è che sono proprio le storie false, i cliché, le banalizzazioni che hanno poi formato l’immaginario collettivo. Un immaginario fatto di bugie. Bugie e ricostruzioni adeguate ad un luogo comune fondamento di tanti altri. Quello che l’Occidente – dai colonizzatori ai missionari, dai volontari alle multinazionali, dalle forze di pace (armate) alle istituzioni internazionali con i loro piani di sviluppo – sia lì per aiutare o peggio “salvare l’Africa“.
Storie che si ripetono… Facendo delle ricerche mi sono imbattuta in un personaggio, Giuseppe Ferlini. Ferlini era uno a cui piaceva l’avventura e che, giustamente, cercava il suo posto al sole.
Lo ottenne in varie occasioni, lavorando come medico tra l’Albania, la Grecia, l’Egitto. Da qui stanco della monotonia del mestiere passò in Sudan e lì capì che poteva farsi ricco. Come? Saccheggiando (perché di questo si trattò) antiche piramidi sudanesi e, in particolare, le rovine di Meroe, antica città della Nubia. Beni preziosi che poi vendette in Europa (scappò con il bottino di notte) a collezionisti privati e musei.
Ma quello che unisce vergogna allo scempio di quegli anni (si era intorno al 1830) è che ancora oggi ci si imbatte in Internet su pagine che lo presentano come un… archeologo.
Non c’è molto altro da aggiungere, vero? Se siete curiosi, sul sito della Treccani la figura di Ferlini viene presenta con maggiore accurattezza e rendendo giustizia ai fatti. Fatti, non fantasie, aggiustamenti, coloriture varie.
Del resto Ferlini è solo uno dei tanti esempi dell’appropriazione di beni, tesori, opere d’arte africane. Un inestimabile patrimonio dell’umanità che molto spesso si è voluto far proprio con la forza.
Negli ultimi anni è tornato forte il dibattito sull’opportunità, da parte di musei europei e statunitensi, di restituire tale patrimonio ai Paesi da cui era stato sottratto.
In questo articolo la BBC tempo fa ha fatto il punto sugli artefatti saccheggiati nei secoli. Il più noto? Probabilmente la stele di Rosetta, la celebre “pietra” intagliata che ha aiutato a decifrare i geroglifici egiziani e che dal 1802 si trova al British Museum a Londra.
Categorie:africa news, culture
Purtroppo la storia dell’archeologia e’ disseminata di queste contraddizioni.
Da un lato si fanno importanti e uniche scoperte, si recuperano preziose vestigia archeologiche.
Dall’altro si viene a conoscenza di riprovevoli commerci e saccheggi di reperti archeologici.
In Italia, ad esempio, i ritrovamenti archeologici etruschi hanno subito ampiamente la contraddizione di cui sopra. I ritrovamenti archeologici etruschi sono disseminati nei musei d’Europa e d’America.
Cio’ ovviamente non giustifica l’atteggiamento di Giuseppe Ferlini.
Rimane pero’ l’amara constatazione che, ad esempio, se oggi possiamo ancora ammirare qualcosa delle civilta’ assira e babilonese nei territori d Ninive in Iraq, cio’ e’ grazie al trasferimento abusivo di cimeli archeologici nei piu’ importanti musei d’Europa.
Stessa cosa si puo’ dire per la citta’ di Palmyra, in Siria.
Comunque, ribadisco che cio’ non giustifica assolutamente il furto e il saccheggio di reperti archeologici.
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