In Uganda, nella capitale Kampala, lo scorso mese è stato inaugurato un LGBT+ Community Centre. Un azzardo, una sfida, un atto di coraggio.
L’Uganda è infatti uno dei Paesi più omofobi dell’Africa sub-sahariana. Un Paese dove in passato una campagna stampa invitava ad eliminare i gay e ne pubblicava la foto e l’indirizzo in prima pagina. Un Paese dove periodicamente ritorna la proposta del Governo di introdurre la pena di morte per chi ha relazioni carnali con persone dello stesso sesso. Un Paese dove gli arresti di omosessuali – decine e decine ogni volta – sono assai frequenti. Un Paese, infine, fortemente religioso e dove la condanna religiosa è spesso usata come arma contro le persone LGBTQ.
E dunque non è un luogo scelto a caso per portare avanti la battaglia per i diritti delle persone omosessuali, transessuali, queer. Una battaglia di cui si fa portavoce Rainbow Riots, organizzazione fondata dall’artista e produttore svedese Petter Wallenberg che ha trovato in Uganda una comunità gay molto attiva e determinata a combattere pregiudizi e discriminazioni.
Come reagirà il Governo guidato da un presidente, Yoveri Museveni, dichiaratamente omofobo? Come reagirà l’opinione pubblica?
Di sicuro il problema dell’accettazione e della sicurezza degli LGBT+ in Africa (e non solo in questo continente) è ancora molto serio.
E allora anche la cultura, la musica possono contribuire a fare uscire allo scoperto chi ha paura, a dare il coraggio di denunciare o, semplicemente, di esprimersi liberamente.
È la motivazione che sta dietro l’uscita di “Rainbow Riots” un album del 2017 ma molto, molto attuale e che grazie alla Rete si è diffuso in molti Paesi africani. Prende il titolo, appunto, dall’organizzazione/collettivo che intende dare visibilità a chi si vorrebbe restasse nascosto e voce a quelli imbavagliati da regimi oppressivi e minacciosi.
La line-up dell’album comprende il rapper queer del Malawi Ivy B, i cantanti e rapper ugandesi Shivan, Kowa Tigs, Bad Black e Brayo Bryans, ma anche Mista Majah P (Giamaica) e Umlilo (Sudafrica).
Ognuno degli artisti presenti nell’album ha storie di paura, discriminazione, violenza. Ivy B ha cercato rifugio in Svezia, Shivan ha decine e decine di piercing sul volto, “per protezione” dice. Bad Black quando era ancora adolescente è stata abbandonata dalla famiglia che cominciava a nutrire sospetti sulla sua sessualità.
Brani come “Unmask“, “Pride and Prejudice“, trasmettono l’idea della “normalità delle relazioni gay”. “Siamo diversi / ma l’amore è amore / e non è diverso“. Canzoni in cui si esprime il rifiuto del concetto di peccato e dannazione.
Nello psichedelico “Equal rights“, un vero e proprio inno di protesta, il messaggio politico è forte e chiaro. Estratto dall’album il singolo – interpretato dall’attivista giamaicano Mista Majah P – è stato usato all’interno della campagna “Obiettivi globali” delle Nazioni Unite.
Qualche tempo fa il team di Rainbow Riots ha messo in scena a Kampala uno spettacolo per promuovere l’album. Ma prima che lo show avesse inizio la polizia ha fatto irruzione nel locale e bloccato tutti i presenti – faccia a terra – per due ore. “Non sapevamo che saremmo morti lì” hanno poi raccontato.
“Se continuiamo a nasconderci, ci nasconderemo finché non saremo sepolti” canta l’artista ugandese Shivan. E molti artisti – alcuni sono rimasti nell’anonimato per molto tempo – si sono messi seriamente in pericolo entrando a far parte del progetto. Ma lo hanno fatto. Per sé stessi, per la propria libertà e per quella degli altri.
Notizie e streaming dell’album a questo link
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