C’è gente al mondo che ha fame. Una condizione difficile da capire e in cui immedesimarsi quando di quella stessa situazione non si ha esperienza.
Nel continente africano su una popolazione di 1 miliardo e quasi 400 milioni, il 38% – vale a dire quasi 512 milioni di persone – vive in stato di povertà estrema. E povertà significa fame, se non hai almeno un pezzettino di terra e qualche animale per il sostentamento.
E, anche se ormai è un dato noto, va ricordato che il numero più alto di persone indigenti si trova in quei Paesi il cui territorio è ricco di risorse e tali risorse vengono costantemente sfruttate da multinazionali, aziende e cordate di imprese estere con il consenso dei Governi locali.
Consenso che spesso non tiene conto dei disastri ambientali a cui lo sfruttamento di tali risorse conduce. E non tiene in alcun conto la marginalità a cui vengono ridotte le popolazioni locali. Pensiamo al Niger, Nigeria, Angola, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Sudafrica. Ma la lista non si chiude qui.

Immagine tratta da worldpoverty.io
In Africa i soli Paesi dove il tasso di povertà si mantiene sotto al 3% (lo stesso tasso dell’Italia) sono l’Egitto, l’Algeria, la Tunisia, il Marocco.
Il problema è il tasso di povertà in alcune aree continua a crescere – nonostante il benessere che si respira nelle grandi città e cambiamenti incontestabili dovuti a infrastrutture, in special modo strade e trasporti, che consentono maggiore scambio di merci e connessioni di vario tipo. O forse, proprio in ragione di questo benessere e dei frutti del capitalismo. E, negli ultimi mesi, in ragione della pandemia.

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Circa un mese fa sul database – da cui sono estratte le immagini di questo articolo e che riporta cifre sull’andamento della povertà nel mondo con riferimento all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 1 delle Nazioni Unite: sradicare la povertà dal pianeta, il dato sulle persone in estrema povertà nel mondo era pari a 686,931,126. Oggi è aumentato di quasi 20 milioni. A un mese circa di distanza.

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Tra le implicazioni del Covid-19 c’è questo: nel 2020 71 milioni di persone (in più rispetto ai dati precedenti) saranno spinte nel baratro della povertà estrema.
Pochi giorni fa il World Food Programme (WFP) delle Nazioni Unite ha annunciato un massiccio aumento del numero di persone affamate. Sono i devastanti impatti socio-economici della pandemia che generano la cosiddetta insicurezza alimentare. A cui vanno aggiunti fattori strutturali interni ai singoli Paesi.
Una condizione che andrà a peggiorare in quesi Paesi già toccati da questo problema, ma che sta già interessando anche cittadini di Nazioni a medio reddito.
David Beasley, direttore esecutivo del WFP, ha messo in guardia sulle conseguenze che potrebbero esserci a livello sociale:
Fino al giorno in cui avremo un vaccino medico, il miglior vaccino contro il caos è il cibo. Senza di esso, potremmo assistere ad un aumento dei disordini sociali, delle proteste e delle migrazioni, un aggravamento dei conflitti e una diffusa sottoalimentazione anche tra popolazioni che finora non avevano mai patito la fame.
Il WFP afferma che sono necessari almeno 4,9 miliardi di dollari per assistere 83 Paesi nei prossimi sei mesi.
Le situazioni più estreme – per quanto riguarda il continente africano – sono in Africa occidentale e centrale, dove c’è stato un balzo del 135% nel numero di persone che ora rientrano nel novero di quelle che non hanno accesso al cibo; nell’Africa meridionale, tale aumento è del 90%.
Chiusura delle frontiere, perdita di posti di lavoro, un calo notevole delle rimesse; ma anche mancanza di servizi sociali di assistenza, inesistenza – in molti casi – di un welfare all’altezza: sono tra le cause dei picchi di povertà che si stanno registrando e che – secondo le previsioni – non diminuiranno nel breve e medio periodo.
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