Se il Sudan vorrà essere rimosso dall’elenco di Stati che sponsorizzano il terrorismo dovrà pagare 330 milioni di dollari (alcuni parlano di 335 milioni di dollari) alle vittime americane di al-Qaeda. Sono, ovviamente, gli Stati Uniti a chiederlo.
L’accordo – che deve ancora essere finalizzato – richiede che il nascente governo sudanese guidato dai civili depositi la cifra in un conto di deposito a garanzia per le famiglie delle vittime di attacchi terroristici in cui l’ex regime sudanese avrebbe svolto un ruolo due decenni fa.
La proposta è emersa dopo l’incontro di qualche giorno fa a Khartoum tra il segretario di stato americano, Mike Pompeo e il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok. Una proposta che ha causato rabbia in un Paese dove il livello di povertà tra la popolazione è alto e che sta tentando di ricostruire un futuro dopo la caduta di Omar al-Bashir.
Pare che i leader del Governo ad interim sudanese siano concordi al pagamento – in febbraio c’era stato già un primo accordo – vista l’assoluta necessità del Paese di superare l’isolamento diplomatico ed economico e accedere al sistema finanziario internazionale per accedere a prestiti e investimenti.
Sulla lista, dove il Sudan è dal 1993, ci sono anche Nord Corea, Iran e Siria. I fatti – e le vittime – a cui si fa riferimento sono i due attentati alle ambasciate in Tanzania e Kenya nel 1998, opera di al-Qaeda, allora diretta da Osama bin Laden dall’Afghanistan. Morirono 224 persone, 4.000 i feriti.
Tribunali degli Stati Uniti giudicarono il Sudan colpevole di aver fornito supporto ad al-Qaeda quando Bin Laden era residente nel Paese tra il 1991 e il 1996. L’altro attacco in questione è quello all’U.S.S. Cole in Yemen nel 2000 dove morirono 17 marinai statunitensi e 39 rimasero feriti e su cui c’era stato già un accordo di compensazione a febbraio.
Esponenti dell’opposizione, attivisti, gente comune, ma anche ministri, fanno notare quanto sia ingiusto e assurdo un accordo di questo genere. Da un lato si contesta l’effettivo coinvolgimento di Karthoum nonostante l’ospitalità data a bin Laden, dall’altro si fa notare: è ingiusto che il nuovo Governo riformista del Sudan debba soffrire per i misfatti di un dittatore caduto e che la stessa popolazione ha contribuito, senza appoggi esterni, a far cadere.
Intanto quasi un quarto della popolazione sudanese sta soffrendo la fame a causa di un conflitto durato quasi due decenni, dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari e del coronavirus.
Quasi 10 milioni di persone stanno affrontando gravi carenze alimentari, il numero più alto registrato nella storia recente del Paese. La maggior parte vive nelle zone di conflitto del Sud Kordofan e dello Stato del Nilo Azzurro, ma quasi tutti i 18 Stati del Sudan hanno registrato carenza di accesso al cibo, compresa la capitale, Khartoum. Una crisi che non accenna a diminuire e che, secondo il Famine Early Warning Systems Network durerà almeno fino a gennaio 2021.
Intanto lunedì il Governo di transizione ha firmato l’accordo di pace con il Sudan Revolutionary Front (SRF), accordo che secondo i commentatori mette davvero la parola fine a una guerra civile durata 17 anni.
Categorie:africa news