Pochi non saranno sorpresi nel venire a conoscenza che l’Africa è il Continente che registra il tasso più alto di suicidi al mondo.
A dare ufficialità di una tendenza – già da tempo nota a chi sta approfondendo studi sociali (ma anche culturali) sul tema – è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che proprio oggi, 10 ottobre, il World Mental Health Day – lancia una campagna di prevenzione del suicidio.
“Circa 11 persone su 100.000 muoiono nella regione africana, una cifra superiore alla media globale di nove casi di suicidio ogni 100.000 persone“, ha affermato in una nota l’ufficio regionale dell’Oms per l’Africa. Molti di questi suicidi riguardano giovani.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sei dei dieci Paesi con i più alti tassi di suicidio al mondo si trovano nel continente africano. Anche se, a dire il vero, alcuni dati non lo confermano.
Di sicuro la situazione sembra davvero drammatica in Lesotho – Paese enclave del Sudafrica con poco più di 2 milioni di abitanti e dove vige una monarchia costituzionale – dove si registrano 72.4 suicidi ogni 100.000 abitanti.
L’OMS rende noti anche quelli che sono i principali metodi per togliersi al vita: impiccagione, avvelenamento da pesticidi e, in misura minore, annegamento, uso di un’arma da fuoco, lancio nel vuoto o overdose di droghe.
Questa situazione è spiegata “in parte anche dai mezzi limitati per trattare e prevenire i fattori di rischio, compresi i disturbi mentali“, aggiunge il testo.
La regione poi soffre di una grave carenza di specialisti: uno psichiatra ogni 500.000 abitanti. Una percentuale 100 volte inferiore alla raccomandazione dell’OMS. Senza contare un altro problema: quello della fuga di cervelli. Sono tanti gli psichiatri africani, e altri specialisti, che preferiscono andare a lavorare all’estero dove possono contare su migliori trattamenti lavorativi e salariali.
E a riprova di quanto la prevenzione sia importante e di quanto la situazione sia ancora più drammatica c’è ancora un altro dato da citare: studi che affermano che su ogni suicidio portato a termine si contano 20 tentativi “non riusciti”.
“Il suicidio è un grave problema di salute pubblica e ogni morte per suicidio è una tragedia. Sfortunatamente, la prevenzione del suicidio è raramente una priorità nei programmi sanitari nazionali“, ha affermato Matshidiso Moeti, direttore regionale dell’OMS per l’Africa.
Occorrerebbero maggiori investimenti, ma anche una maggiore consapevolezza del problema evitando di nasconderlo o di continuare a legare le malattie mentali a credenze arcaiche o all’azione di spiriti malvagi.
Ci sono poi Paesi che non solo non agiscono nella prevenzione ma hanno legislazioni che considerano reato il tentativo di suicidio. Tra questi la Nigeria, il Ghana, il Rwanda. Ma anche Sudan e Sud Sudan, Malawi, Tanzania, Uganda, Kenya, Gambia. Insomma, una persona che sta male e sopravvive alla volontà di togliersi la vita anziché essere affidata a cure mediche e magari psichiatriche rischia il carcere.
Va ricordato che i problemi di salute mentale rappresentano fino all’11% dei fattori di rischio associati al suicidio. In Africa gli investimenti in qusto campo sono davvero minimi. In media – ricorda l’OMS – i Governi destinano meno di 50 centesimi di dollaro statunitense pro capite alla salute mentale. Sebbene si tratti addirittura di un miglioramento rispetto ai 10 centesimi del 2017, è ancora ben al di sotto dei 2 dollari pro capite raccomandati per i Paesi a basso reddito. Inoltre, l’assistenza sanitaria mentale non è generalmente inclusa nei regimi nazionali di assicurazione sanitaria.
La campagna di prevenzione condotta sui social network, mira a raggiungere 10 milioni di persone nella regione”. L’obiettivo. secondo l’OMS, è “sensibilizzare il grande pubblico e mobilitare il sostegno di Governi e decisori per dare maggiore attenzione e finanziamenti ai programmi dedicati alla salute mentale”.

E c’è un progetto che in Italia sta facendo emergere la questione raccogliendo le parole e le esperienze sul disagio mentale provenienti dai Paesi sub-sahariani. Si chiama One Global Voice. L’iniziativa rappresenta uno spaccato doloroso ma eloquente su quanto siano soprattutto i giovani a soffrire di problemi che dovrebbero essere affrontati in chiave medica.
Ma è anche un segnale di quanto la malattia mentale stia uscendo dal nascondiglio in cui la si è voluta finora nascondere. Gli africani, e soprattutto i giovani africani, stanno usando anche l’arte, in questo caso la poesia, per farla emergere non solo come questione personale ma collettiva, sociale. Senza più paura dei pregiudizi e dello stigma che l’hanno sempre circondata.
Molti dei testi che il progetto sta raccogliendo affrontano proprio la tematica del suicidio. E poi la depressione e disagi nati da questioni drammatiche e concrete come la povertà, un conflitto, uno stupro, le costrizioni sociali, soprattutto quelle nei confronti delle donne.
Il progetto affronta vari aspetti legati alla salute mentale in Africa: da quello medico a quello sociale a quello culturale. Anche con alcuni reportage in strutture psichiatriche e realtà – come i witch camps del Ghana – dove donne accusate di stregoneria vengono tenute ai margini della società.
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