Ancora una volta è attraverso le parole di una donna, scrittrice africana, che entriamo nelle storie (quelle più dolorose e che si vorrebbe dimenticare) del continente africano.
In questi anni sono infatti stati piubblicati vari romanzi che affrontano periodi storici o eventi particolari di un determinato Paese (pian piano cercherò di recensirli).
Oggi mi soffermo su House of Stone di Novuyo Rosa Tshuma, pubblicato nel 2018. Un’opera prima per questa autrice zimbabweana, che ci porta dritti in un Paese, lo Zimbabwe, dove per sapere la verità devi giocare d’astuzia. Come fa Zamani, il protagonista del romanzo (presentato spesso nella categoria fantapolitica).
Zamani, è un giovane uomo alla ricerca di una famiglia mai avuta, distrutta all’origine da uno stupro (di cui lui è frutto). Uno stupro di cui il colpevole è uno, il famigerato Black Jesus, ma sono anche gli altri del gruppo ed è in sostanza la forza bruta di quel nuovo Stato.
Perrance Shiri, questo il nome dell’autoproclamato Black Jesus, cugino di Robert Mugabe, era stato capo delle Forze armate per molti anni e ministro dell’Agricoltura ed aveva giocato un ruolo chiave nella “lotta” per l’indipendenza che porterà la “vecchia Rhodesia a “trasformarsi” in Zimbabwe nel 1980.
Ma Black Jesus, morto nel luglio di quest’anno, è ricordato nel Paese soprattutto per un altro motivo: il massacro di Gukurahundi, ed è questo evento un altro fondamentale spazio a cui il libro di Novuyo Rosa Tshuma è dedicato. Un massacro su cui poggiano le radici del potere esercitato da Mugabe fino alla sua morte.
Tra il 1983 e il 1987 il partito di Mugabe (ZANU) – che si era conteso la lotta contro la minoranza bianca che allora governava la Rodesia, e quindi il successivo potere, con l’altro partito, (ZAPU) – operò una caccia ed eliminazione sistematica di quelli che erano definiti “dissidenti” e che costituivano la popolazione, minoritaria, dei Ndebele. Furono 20.000 i morti, altri ritengono che fossero di più. Ad operare i massacri la terribile “Brigata 5”.
Negli anni ci sono state commissioni di riconciliazione e promesse di riparazioni. Nulla è mai avvenuto, nonostante lo stesso Mugabe, anni dopo parlò di quell’evento come “un momento di follia“.
L’astuzia del protagonista del libro, dunque, sta nel far parlare i genitori che ha auto-adottato, Abednego e Mama Agnes. Entrambi hanno storie tremende da raccontare. E lui ha bisogno di ricostruire la hi-story (termine usato nel romanzo.
Così nella narrazione si incontrano personaggi come Thandi, bellissima e giovanissima rivoluzionaria che sogna di diventare l’Angela Davis dello Zimbabwe. Un perosnaggio che ci porta in un momento di speranze, azioni, ma anche illusioni degli anni del sogno di indipendenza. Un indipendenza sfociata nella violenza e cecità del potere.
Si incontra un reverend pastor, che semplicemente approfitta della fede della comunità per fare una bella vita, tra abiti e scarpe firmati italiani e lussuriosi incontri sessuali. Si incontrano i bianchi agricoltori le cui storie, ma anche discendenze, si intrecciano con quelle dei locali, vuoi per amore o per diletto. Ma soprattutto si incontra la Storia (anche quella precedente all’indipendenza) del Paese.
Filo conduttore di tutta la narrazione è Bukhosi, il figlio di Mama Agnes e Abednego – con gli occhi, stranamente, emerald -. Bukhosi è scomparso. Perché? Dove si trova? Questo ve lo lascio scoprire da soli.
[Il libro è vincitore dell’Edward Stanford Prize for fiction 2019]
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